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Il certificato medico tardivo e retrodatato configura assenza ingiustificata?
Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 33134 del 10 novembre 2022.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
La pronuncia oggi in commento affronta il caso di un dipendente che, a seguito di un’assenza non giustificata protrattasi per sette giorni, veniva licenziato per giusta causa. Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello di Firenze accertavano l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto addebitato e ciò in quanto, dall’analisi dei fatti di causa, emergeva che, alla data della comunicazione del recesso, la certificazione medica – che copriva retroattivamente l’intero periodo di assenza oggetto di contestazione disciplinare – era stata, seppur tardivamente, trasmessa al datore di lavoro. I giudici di merito osservavano che la contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro disciplinava, con due distinte disposizioni, l’assenza ingiustificata e la tardiva o irregolare giustificazione, sanzionando la prima con il licenziamento e la seconda con la sanzione conservativa della multa. A fronte di tale disciplina contrattuale, il licenziamento per giusta causa irrogato dal datore di lavoro era pertanto da considerarsi illegittimo, con conseguente condanna del datore alla reintegrazione in servizio del dipendente e al risarcimento del danno commisurato alle mensilità non lavorate, oltre al versamento dei contributi.
Avverso la decisione della Corte d’Appello, la società datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione.
Anche gli Ermellini confermavano la pronuncia di secondo grado ribadendo che “non ricorre assenza ingiustificata dal servizio in caso di inoltro tardivo al datore di lavoro del certificato medico che attesti la malattia del lavoratore”.
Orbene, secondo tale recentissimo, e ad oggi isolato, orientamento della Corte di Cassazione, non è rilevante che per un’intera settimana il dipendente sia rimasto assente senza consegnare una giustificazione ed è parimenti irrilevante che il certificato medico attesti retroattivamente uno stato di malattia iniziato più di una settimana prima. Infatti, sostiene la Cassazione, la consegna del certificato dopo l’avvio dell’azione disciplinare impedisce che si produca la fattispecie inadempiente dell’assenza ingiustificata e riconduce l’episodio alla più lieve ipotesi della giustificazione tardiva dell’assenza.
Nel caso di specie, l’assenza tardivamente giustificata doveva, pertanto, ritenersi punita con la sanzione conservativa prevista dalla disposizione del CCNL di riferimento. Diversamente, qualora l’arco temporale si fosse dilatato oltremodo, sarebbe venuta meno la possibilità stessa di ritenere l’assenza, seppur tardivamente, giustificata e, dunque, la condotta sarebbe stata valutata in termini più rigorosi e punita con la sanzione espulsiva.
Tale orientamento, tuttavia, si pone in netto contrasto con quello precedente della stessa Corte, che aveva sostenuto che i giorni di ritardo nell’invio del certificato medico configurassero assenza ingiustificata. Nello specifico la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18956/2020 confermava la correttezza del principio sancito dalla Corte territoriale, secondo cui dovevano qualificarsi come ingiustificati i giorni di assenza dal lavoro risultanti dopo l’invio tardivo della certificazione medica.
Peraltro, sul punto, la giurisprudenza di merito (ex pluris, Trib. Modena, Sez. Lavoro 02 dicembre 2021 n. 469; Trib. Torino Sez. Lavoro 4 gennaio 2017, n. 64) ha anche ribadito, in più tempi che è preciso obbligo del lavoratore rendere possibile il controllo della sussistenza della malattia da parte dei soggetti all’uopo preposti, alla luce dell’interesse proprio del datore di lavoro a ricevere la prestazione lavorativa ed al corretto interesse di controllare l’effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione. Anche detto aspetto non è minimamente stato tenuto in conto dalla pronuncia oggi in commento.
L’approdo della Suprema Corte nella pronuncia n. 33134/22 non appare dunque convincente, ciò ancor più se si considera che lo stesso INPS, nelle circolari nn. 63/1991 e 147/1996, ove tratta la questione afferente l’indennità di malattia, chiarisce che essa decorre dalla data di rilascio della relativa certificazione, salva la possibilità di retrodatare di un giorno in ipotesi di visita domiciliare, specificando che “le giornate anteriori alla data di rilascio, non valutabili sulla base di quanto sopra precisato, sono da considerare come “non documentate” (e perciò non indennizzabili)”.
Benchè dunque l’INPS disponga tale decorrenza ai fini erogativi, si ritiene che il principio possa essere anche applicato da un punto di vista disciplinare, ciò in quanto il “certificato di malattia” alla stregua dell’art. 7 DPCM 26 marzo 2008 è “l’attestazione scritta di un fatto di natura tecnica destinata a provare la verità di fatti direttamente rilevabili dal medico curante nell’esercizio della professione che attesti l’incapacità temporanea al lavoro, con ‘indicazione della diagnosi e della prognosi”, di tal che ove il medico non accerti direttamente l’incapacità al lavoro, come nel caso di certificato retrodatato, l’assenza potrebbe comunque ritenersi ingiustificata.
Ciò detto, si auspica che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità si attesti sulle pronunce antecedenti quella commentata.