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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

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Fatto materiale e fatto giuridico. La proporzionalità nei licenziamenti Jobs Act

Corte di Cassazione, sentenza n. 12174 del 08.05.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte si è pronunciata per la prima volta sull’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/15, riaprendo l’annosa problematica del “fatto materiale” o “fatto giuridico” , che aveva diviso la giurisprudenza di merito e suscitato diverse interpretazioni in dottrina.
Ed invero, già la legge 92/12 (cd. Legge Fornero), modificando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha limitato la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato, ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, ovvero dei codici disciplinari applicabili”.
La locuzione “insussistenza del fatto contestato” ha dato luogo a diverse interpretazioni, sia in dottrina che in giurisprudenza, sino a giungere all’elaborazione di due contrapposte teorie: da un lato, la teoria del “fatto materiale”, in base alla quale la reintegrazione va circoscritta all’ipotesi d’insussistenza del solo fatto materiale contestato, dall’altro, quella del “fatto giuridico”, secondo cui ai fini della reintegrazione nel posto di lavoro è necessario considerare non solo la sussistenza del fatto storico materialmente commesso dal lavoratore, ma anche la rilevanza disciplinare e giuridica del fatto, teoria avallata dalla gran parte della giurisprudenza di merito.
Il Jobs Act, con il cennato articolo 3 co. 2 ha abbracciato la teoria del “fatto materiale”, precisando che il giudice dovrà disporre la reintegrazione “esclusivamente nelle ipotesi … in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” (articolo 3, comma 2, Dlgs 23/15).
Tale norma avrebbe dovuto consentire al datore di lavoro di prevedere al momento del licenziamento con certezza (quasi matematica) il rischio di causa, sia in termini di possibile reintegrazione in servizio del dipendente sia, alternativamente, con riferimento al possibile quantum risarcitorio.
Tuttavia, la certezza sanzionatoria ha avuto certamente vita breve. Ed infatti, con la oramai nota sentenza n. 194/18 la Corte Costituzionale ha censurato il meccanismo di quantificazione dell’indennità spettante al lavoratore in ipotesi di declaratoria di illegittimità del licenziamento previsto dall’art. 3 comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015 - ed ossia, un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” - poiché, a dire della Corte, rendeva l’indennità rigida e uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato (Vedi Informaiop n. 279).
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha proseguito l’opera di smantellamento del Jobs Act. Accogliendo il ricorso promosso dalla lavoratrice, la Corte ha precisato che “ai fini della pronuncia di cui all’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23 del 2015, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore … comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”.
In altre parole, la Cassazione, con la sentenza in commento, sebbene rilevi come la dipendente si sia inopinatamente allontanata dal posto di lavoro (fattispecie indubbiamente rilevante sotto il profilo disciplinare), compie una valutazione riguardo la sproporzione del licenziamento rispetto al fatto contestato che dovrebbe esserle preclusa, reintroducendo surrettiziamente la discrezionale valutazione della rilevanza disciplinare del comportamento contestato e, così, rischiando di vanificare la portata normativa del D.Lgs 81/2015 con cui il legislatore ha voluto introdurre e specificare l'aggettivo “materiale”.
Tale orientamento, è stato altresì confermato con la Sentenza 14063 del 23 maggio 2019, con cui la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul principio di proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l'inadempimento, precisando che il giudice non può esimersi dall'accertamento in concreto della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione adottata, anche nel caso in cui la condotta sia indicata nelle esemplificazioni previste dalla contrattazione collettiva come ipotesi di licenziamento.
Ed invero, anche in tale giudizio la Cassazione ha ritenuto di effettuare una valutazione di merito, nonostante la condotta tenuta dal lavoratore rientrasse nelle fattispecie tipizzate che il CCNL applicato in azienda sanzionava con provvedimenti non conservativi.
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