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Applicare il comporto ordinario a un lavoratore disabile costituisce una discriminazione indiretta
Cass. Sez. Lav. n. 9095 del 31 marzo 2023.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
La Corte di Cassazione, con una pronuncia che non ha precedenti di legittimità, se non sparute sentenze di merito (cfr. sentenza della Corte d’Appello di Napoli, 17 gennaio 2023, n. 168), ha ritenuto illegittimo il licenziamento per superamento del comporto adottato nei confronti del lavoratore disabile nel caso in cui il periodo massimo di assenza stabilito nel CCNL sia lo stesso previsto per i lavoratori non disabili.
Il caso in esame riguardava un ex dipendente, con mansioni di spazzino stradale, licenziato per superamento del periodo di comporto. Il Tribunale aveva ravvisato una discriminazione diretta correlata alle condizioni di disabile del lavoratore, riconosciuto portatore di handicap ai sensi della L. n. 104 del 1992, articolo 3, comma 1, con capacità lavorativa ridotta del 75%, inidoneo a diverse mansioni sulla base degli accertamenti sanitari. Detta discriminazione era consistita, per il Tribunale, nell'irrogazione del licenziamento (per assenza dal lavoro per 375 giorni nell'arco di 1095 giorni), dovendosi presumere (nonostante l'invio, non riscontrato dal lavoratore, di avviso dell'approssimarsi del comporto) che le assenze per malattia fossero riconducibili alla situazione di disabilità del lavoratore per l'assegnazione a mansioni incompatibili con il suo stato di salute.
La Corte d'appello confermava la pronuncia, "sia pure in forza, in parte, di differenti considerazioni", dovendo ritenersi nella fattispecie "sussistente, con carattere assorbente in relazione alle altre questioni proposte, una discriminazione di natura indiretta, consistita, alla luce del grave quadro patologico del lavoratore qualificabile come disabilità ai sensi della direttiva 2000/78/CE, nell'avere la società applicato l'articolo 42 CCNL Federambiente al lavoratore licenziato, trascurando di distinguere assenze per malattia ed assenze per patologie correlate alla disabilità, in contrasto con i principi espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia UE con sentenza del 18/1/2018 in causa C-270/16”.
L’azienda ricorreva dunque in Cassazione ed in tale sede veniva confermata l’ipotesi di discriminazione indiretta che ricorre, ai sensi dell’art. 2, co. 1, D. Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o nazionalità o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
Nel caso in esame rilevava dunque la posizione di svantaggio in cui si trova il lavoratore disabile il cui licenziamento era stato fondato su parametri eguali al caso in cui il licenziato sia un lavoratore non disabile.
La Suprema Corte riteneva pertanto discriminatorio il CCNL per il settore dei servizi ambientali che, all’art. 42, disciplinava il periodo di comporto in modo indifferenziato per tutti i lavoratori, senza che fosse prevista una disciplina differenziata delle assenze per malattia dei lavoratori disabili, poiché per quest’ultima categoria il rischio di assentarsi e, di conseguenza, di venir meno alla prestazione lavorativa era oggettivamente superiore rispetto a quello degli altri.
Infine, specificavano gli Ermellini che “la discriminazione opera in modo oggettivo ed è irrilevante l'intento soggettivo dell'autore. Non è dunque decisivo (a parte i profili di prova della conoscenza della situazione di disabilità del lavoratore di cui ai paragrafi che precedono) l'assunto di parte ricorrente di non essere stata messa a conoscenza del motivo delle assenze del lavoratore, perchè i certificati medici delle assenze inoltrati al datore di lavoro non indicavano la specifica malattia a causa dell'assenza. Va, invero, confermato che la discriminazione - diversamente dal motivo illecito - opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore, quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro”.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso presentato dalla società, ribadendo la necessità che le parti sociali adeguino le norme contrattuali al fine di tutelare le categorie di lavoratori più deboli quali i disabili.
Orbene, posto che nella maggior parte dei CCNL, ivi inclusi i nostri, non è presente una distinzione tra le assenze per malattia e quelle per patologie collegate alla disabilità, con differenziazione dei periodi di comporto, ove tale orientamento dovesse consolidarsi, si ritiene che potrebbe assumere rilevanza il ruolo svolto dai contratti collettivi aziendali, in cui si potrebbe valutare di disciplinare un adattamento del periodo di comporto per la cennata categoria di lavoratori.