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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

Contratto di spedalità e responsabilità della struttura sanitaria
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Contratto di spedalità e responsabilità della struttura sanitaria

Cassazione civile - sez.III, sentenza n. 2060 del 29 gennaio 2018

Giuseppe De Marco, Rappresentante in Aiop di Villa Giuseppina 

Come noto, l’art. 7 della l. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli – Bianco) prevede che la struttura sanitaria, pubblica o privata, la quale, nell’adempimento della propria obbligazione si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria anche se scelti dal paziente e non dipendenti della struttura medesima, risponda delle loro condotte colpose o dolose ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., ossia per inadempimento di un’obbligazione ed in forza della responsabilità per fatto doloso o colposo di un terzo ausiliare.
La responsabilità della casa di cura, come altrettanto conosciuto, si fonda su un contratto atipico a prestazioni corrispettive, definito ‘di spedalità’ ovvero ‘di assistenza sanitaria’.
Nel caso in argomento - ed in somma sintesi - la Suprema Corte, con la sentenza n. 2060 del 29 gennaio scorso (allegata), ha condannato al risarcimento una struttura sanitaria nella quale dei sanitari di fiducia di una degente, il giorno prima dello svolgimento di un’operazione di inserimento di una protesi all’anca, le avevano effettuato un prelievo del sangue per una eventuale autotrasfusione in sede operatoria.
Purtroppo, dopo l’intervento, le condizioni della donna si erano aggravate e, a seguito di un prelievo del sangue fatto in ospedale ove ella era stata successivamente ricoverata, la stessa risultava positiva al test HIV, presumibilmente già presente – ad uno stadio iniziale e silente – prima dell’operazione. La signora decedeva quattro mesi dopo l’intervento.
La Corte di Appello accoglieva il ricorso incidentale della clinica, rigettando la domanda risarcitoria dispiegata nei suoi riguardi da parte dei parenti della vittima, perché il personale della casa di cura non aveva partecipato alla scelta di eseguire il prelievo per autotrasfusione, scelta operata esclusivamente dai medici di fiducia della degente.
Al contrario, la S.C. nell’intestata pronuncia ha accolto il motivo di ricorso presentato dai famigliari della donna, inserendosi nel solco di una consolidata giurisprudenza.
La Corte ha in sostanza affermato che la responsabilità di una struttura sanitaria non può essere parificata a quella di una struttura meramente alberghiera ove il suo gestore risponde solamente della pulizia e dell’ordine dei servizi offerti e non deve preoccuparsi - pur nel rispetto delle leggi e dei regolamenti - di quanto avviene all’interno delle camere.
Detta responsabilità ha natura contrattuale (in forza dei su accennati contratti di spedalità o di assistenza sanitaria) ‘diretta’ ex art. 1218 c.c. – in relazione ai propri fatti d’inadempimento – e lato sensu ‘indiretta’ ex art. 1228 c.c., perché derivante dall’inadempimento della prestazione medico – professionale svolta direttamente dal sanitario, quale ausiliario necessario all’ente, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un ‘collegamento’ tra la prestazione da costui effettuata e la organizzazione aziendale della struttura, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche ‘di fiducia’ dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto (Così, Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 577; tra le tante, di recente, Cass. n. 16488 del 2017; Cass. n. 21090 del 2015; Cass. n. 1620 del 2012; Cass. n. 20547 del 2009; Cass. n. 8826 del 2007)”.
E’ da osservare come la Suprema Corte non abbia accolto le ragioni difensive della casa di cura, la quale lamentava, addirittura, di non essere stata neppure portata a conoscenza dell’intenzione dei medici di fiducia della degente di sottoporla ad autotrasfusione.
Ad avviso dello scrivente, il rigetto delle suindicate ragioni difensive conduce in modo inevitabile ad un allargamento del perimetro della responsabilità delle cliniche per fatto di terzi, tale da dover indurre i vertici societari delle medesime ad essere particolarmente attenti alla sorveglianza di ogni attività svolta all’interno delle strutture e ad attuare un’opera di prevenzione dei rischi sempre più stringente ed articolata.

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