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Notizie dalla Liguria

Riprende il dialogo Aiop-Aris con le Organizzazioni Sindacali

Il rinnovo del Contratto nazionale del personale non medico, che opera nella componente di diritto privato del Ssn è, da sempre, un’assoluta priorità per Aiop e Aris, e non è mai stato messo in discussione, nel rispetto dei legittimi interessi delle parti. A seguito dell’improvvisa interruzione delle trattative, avvenuta il 27 gennaio scorso, Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop e Padre Virginio Bebber, Presidente nazionale Aris, hanno avviato immediati contatti con tutti gli interlocutori istituzionali, ribadendo l'assoluta volontà di rispettare gli impegni assunti nei confronti degli oltre 100mila lavoratori che ogni giorno, con grande professionalità, consentono agli italiani di avere una risposta alla propria domanda di salute, tenuto conto delle esigenze delle strutture rappresentate.

Il cammino verso il rinnovo del CCNL del personale non medico ha compiuto un nuovo passo in avanti

Forte segnale di responsabilità da parte dell’Assemblea AIOP

L’Assemblea generale dell’Aiop, convocata a Roma il 22 gennaio u.s., per esprimersi sul tema del rinnovo del CCNL, ha ribadito la volontà di definire, in tempi rapidi, l’intesa per il rinnovo del contratto del personale non medico della componente di diritto privato del Ssn, nel rispetto degli accordi e dei risultati con le Istituzioni e le Organizzazioni sindacali.
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Notizie Aiop Nazionale

Il datore che vuole contestare i certificati medici non deve presentare querela di falso
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Il datore che vuole contestare i certificati medici non deve presentare querela di falso

Cass. Sez. lav. n. 30551 del 27.11.2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

La recentissima pronuncia in commento affronta il caso di una lavoratrice licenziata per uso improprio dell’assenza per malattia, tale da far desumere – così come rilevato dal datore  di lavoro in contestazione -  la simulazione della stessa ovvero un comportamento contrario ai doveri di correttezza, buona fede, fedeltà aziendale nell'esecuzione del rapporto, idoneo a determinare il prolungamento della malattia.

La ex dipendente impugnava giudizialmente il licenziamento che veniva ritenuto legittimo in primo grado. Tuttavia, la  Corte di appello di Roma riformava integralmente il provvedimento di prime cure. In particolare, i Giudici di secondo grado recepivano l'esito della consulenza tecnica medica d'ufficio che aveva verificato la compatibilità delle attività fisiche espletate dalla dipendente rispetto alla situazione patologica decritta dai certificati di malattia ed aveva escluso che tali condotte fossero idonee a causare un ritardo nella guarigione o un peggioramento del quadro complessivo; ritenuto, pertanto, insussistente il fatto contestato, in quanto privo di potenzialità lesiva del vincolo fiduciario, i giudici di appello applicavano la tutela reintegratoria.

La società proponeva quindi ricorso in Cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, che la Corte territoriale avesse errato nell’affermare che il datore di lavoro che intenda contestare in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente dovesse proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica, atteso che la simulazione dello stato di malattia poteva desumersi dalla valorizzazione di una pluralità di circostanze di fatto, senza che fosse necessario contestare la falsità dei certificati medici.

Gli Ermellini, nel ritenere fondato tale motivo di gravame, specificavano innanzitutto come, benché la contestazione disciplinare irrogata dalla società comprendesse sia il profilo della simulazione della malattia sia, in alternativa, il profilo dell'aggravamento della stessa durante l'assenza dal lavoro, la Corte territoriale avesse errato nel valutare solamente quest'ultimo, senza approfondire l'aspetto relativo alla possibile simulazione della malattia (cervicobrachialgia acuta con vertigine) che era stata ritenuta sussistente dal consulente medico d'ufficio sulla base della mera attestazione del medico di medicina generale. Sempre erroneamente, si legge nella pronuncia, i giudici di merito avevano asserito che per contestare l'esattezza d'una diagnosi fosse necessaria una querela di falso del certificato medico.

La Cassazione, nel contestare fermamente l’assunto del precedente Giudice, ha chiarito che l'accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell'inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l'idoneità della diversa attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psico fisiche, si risolve in un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice del merito, che deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto e il relativo onere della prova incombe sul datore di lavoro.
I giudici di legittimità hanno in proposito richiamato l'orientamento secondo cui il certificato redatto da un medico convenzionato con un ente previdenziale o con il Servizio Sanitario Nazionale per il controllo della sussistenza delle malattie del lavoratore è atto pubblico che fa fede, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato nonché dei fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza. Tale fede privilegiata, però, non si estende anche ai giudizi valutativi che il sanitario ha espresso, in occasione del controllo, in ordine allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Tali giudizi, infatti, pur dotati di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale e dotati, quindi, di una particolare rilevanza sotto il profilo dell'art. 2729 c.c., consentono al giudice di considerare anche elementi probatori di segno contrario acquisiti al processo. Il certificato medico, pertanto, non costituisce un documento sufficiente per far presumere che la malattia non sia simulata, potendo il giudice pervenire, sulla base degli elementi raccolti in giudizio, ad una valutazione differente.

Su tali presupposti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del datore, avendo questi correttamente confutato – già nella lettera di contestazione disciplinare – la correttezza della diagnosi riportata nella certificazione medica, rinviando in appello per la decisione sulla base dell’esposto principio di diritto.

 

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