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Notizie dalla Liguria

Le Commissioni nazionali Aiop

Dopo la costituzione delle nuove Commissioni nazionali Aiop Lavoro (coord. Guerrino Nicchio), Sanità integrativa (coord. Francesco Berti Riboli) e Neuropsichiatria (coord. Paolo Rosati), continua il rinnovamento degli organi consultivi della Sede nazionale per il triennio 2018-2021. Il Comitato esecutivo, nella seduta del 30 ottobre, ha costituito la Commissione nazionale Aiop Piccole Strutture, coordinata da Mario Cotti, con Marcello Furriolo (Calabria), Gioacchino Maione (Campania), Vittorio Morello (Veneto), Lia Montanari (Emilia Romagna), Antonio Romani (Marche), Michele Quarenghi (Lombardia), Vincenzo Cascini (Calabria), Marco Ferlazzo (Sicilia). La nuova Commissione nazionale Aiop Riabililitazione/Lungodegenza, coordinata da Dario Beretta e Sergio Crispino, è composta da Gianfrando Camisa (Campania), Ettore Denti da Forlì (Sicilia), Sandro Iannaccone (Lombardia), Michele Lorè (Calabria), Alfredo Montecchiesi (Lazio), Averardo Orta (Emilia Romagna), Salvatore Verzì (Sicilia), Desiderata Berloco (Lazio), Marco Di Biase (Molise), Bruno Biagi (Emilia Romagna), Carla Nanni (Lombardia). La Commissione nazionale Aiop Lavoro, infine, è stata integrata con Ciro Esposito (Campania).

Super-ticket e liste d’attesa, Cittadini (AIOP): "Un tavolo di concertazione con il Ministero della Salute è fondamentale per affrontare il tema delle liste d’attesa”

Comunicato stampa del 31 ottobre 2018

“Le strutture sanitarie aderenti all’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP) sono parte integrante del Servizio sanitario nazionale e, quindi, sentono la responsabilità di dare risposta ai bisogni di salute dei cittadini, affrontando, tempestivamente, alcuni nodi ancora irrisolti, tra i quali il problema delle liste d’attesa. Da questo punto di vista, AIOP condivide l’auspicio espresso da p. Virginio Bebber, presidente dell’Aris, Associazione che riunisce le strutture socio sanitarie religiose, che si possa, in tempi brevi, attivare un tavolo di confronto fra tutti i rappresentanti del Ssn e il Ministero della Salute, per identificare una strategia comune, che consenta la piena integrazione dell’offerta delle componenti di diritto pubblico e privato della rete del Ssn e così migliorare, dal punto di vista quali quantitativo, l’accesso di tutti i cittadini alle prestazioni sanitarie”. Lo dichiara Barbara Cittadini, Presidente Nazionale AIOP, in risposta all’invito del Presidente dell’Aris, p. Virginio Bebber, a margine delle dichiarazioni del Ministro Giulia Grillo sulla proposta di abolizione dei cosiddetti “super-ticket”.
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Notizie Aiop Nazionale

La responsabilità del datore di lavoro e il rischio “non eliminabile”
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La responsabilità del datore di lavoro e il rischio “non eliminabile”

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro. Sentenza n. 11546 del 15 giugno 2020

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha affrontato il caso della domanda proposta da un dipendente volta a conseguire il risarcimento del danno biologico risentito all'esito dell'infortunio occorso sul luogo di lavoro.
Sia il Giudice di prime cure, che la Corte di Appello di Salerno respingevano il ricorso proposto dal lavoratore, rilevando come, ai fini dell'accertamento della responsabilità di parte datoriale, incombesse sul lavoratore l'onere di dimostrare l'esistenza del danno, la nocività dell'ambiente di lavoro e il nesso causale esistente fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro quello di “dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento dannoso; con la precisazione che detto onere era da reputarsi astretto entro confini di ragionevolezza e prevedibilità”.

I Giudici di merito ritenevano ascrivibile al caso fortuito ed imprevedibile l’evento, essendo lo stesso non evitabile attraverso la diligenza richiesta dalla disposizione di cui all'art.2087 c.c., che non esige la predisposizione di misure idonee a prevenire ogni sorta di evento lesivo.

All’uopo si deve ricordare che l’art. 2087 c.c., identifica nell’obbligo di vigilanza di parte datoriale un elemento strutturale del rapporto di lavoro, atteso che il contenuto del contratto individuale risulta integrato ex lege dalla disposizione che impone gli obblighi di sicurezza, ai sensi dell’art. 1374 c.c., di tal che è parte del sinallagma contrattuale, nonché fonte di obblighi positivi a carico del datore, il quale “è tenuto a predisporre un ambiente ed una organizzazione di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa, con la conseguenza che è possibile per il prestatore di eccepirne l'inadempimento e rifiutare la prestazione pericolosa (art. 1460 cod. civ.)”.

La Cassazione, nel respingere le doglianze del lavoratore, si è concentrata sui limiti precettivi dell’art. 2087 c.c. e, in particolare, sulla necessità che tale disposizione di legge non si traduca in una forma di responsabilità oggettiva per le aziende.
L’analisi della Suprema Corte muove dalla qualificazione dell’art. 2087 c.c. come “norma di chiusura” del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole preesistenti, ma volta a sanzionare “l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico”.

Ed invero, sebbene la cd. “funzione dinamica” dell’art. 2087 c.c. sia finalizzata ad indurre l’imprenditore ad attuare un’efficace attività di prevenzione attraverso la ricerca delle misure suggerite dall'esperienza e dalla tecnica più aggiornata, garantendo il più alto grado possibile di sicurezza dei luoghi di lavoro, la norma non è suscettibile di essere ampliata fino al punto di comprendere, sotto il profilo meramente oggettivo, ogni ipotesi di lesione dell’integrità psico-fisica dei dipendenti e di correlativo pericolo.

Alla stregua dei predetti principi, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza di “un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero” quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un'attrezzatura non sia eliminabile, così come non può ragionevolmente pretendersi l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psicofisica del lavoratore; va infatti considerato che, ove applicabile, un siffatto principio importerebbe quale conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile, e nonostante l'ambito dell'art.2087 cod. civ. riguardi una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici, e non meramente possibilistici”.

Detto principio espresso nella pronuncia in commento, risulta di particolare attualità nel contesto emergenziale in atto, ove le Aziende Sanitarie (pubbliche e private) sono chiamate a tutelare i propri dipendenti di fronte ad un fisiologico rischio di contagio che, per espressa previsione normativa dell’articolo 42, co. 2, del DL n. 18 del 17 marzo e ss.mm.ii., va ricondotto all’infortunio sul lavoro.

Già l’INAIL, con un proprio comunicato, aveva classificato tutti gli operatori sanitari (e, in ogni caso, tutto il personale operante nel comparto sanità), come esposti al massimo livello di rischio di contrazione del COVID-19, intervenendo successivamente, con la Circolare n. 22 del 20 maggio 2020, al fine di chiarire che dall’infortunio sul lavoro per Covid-19 non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro.

In altre parole, come chiarito dalla Suprema Corte, in tema di sicurezza sul lavoro, non è configurabile alcuna responsabilità oggettiva del datore, il quale è tenuto a tutelare i propri dipendenti nel limite dei rischi prevedibili in termini probabilistici che, per quanto concerne la diffusione del COVID-19, sono stati definiti dai vari protocolli di sicurezza sottoscritti dalle parti sociali, il cui rispetto dovrebbe determinare la non ascrivibilità all’azienda dell’eventuale contrazione del virus.


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