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Licenziamento legittimo anche se il dipendente è stato assolto in sede penale
Cassazione Civ. Sez. Lavoro n. 32680 del 7 novembre 2022
Con la recentissima pronuncia in commento la Cassazione ha affrontato il caso di un dipendente, direttore delle risorse umane e diretto riporto dell'amministratore delegato della società datrice di lavoro, che aveva, intenzionalmente e con la connivenza di quest'ultimo, privo di poteri, predisposto un patto di stabilità a sé favorevole in corso di rapporto, retrodatandolo e senza che ne fosse stato informato il consiglio di amministrazione, traendone dunque un illecito vantaggio. L’azienda, appresi i fatti, proponeva denuncia querela per truffa nei confronti del dipendente e procedeva con la risoluzione del rapporto.
A seguito di ricorso da parte del lavoratore, il Tribunale di Bergamo accoglieva solo in parte le domande da questi proposte e riteneva privo di giusta causa ma supportato da giustificatezza il recesso, evidenziando che il ricorrente era risultato compartecipe della elaborazione di un patto di stabilità particolarmente oneroso per la società. Pertanto, condannava la società a pagare la sola somma chiesta a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.
La Corte di appello di Brescia, investita del gravame promosso da entrambe le parti, ravvisava nella condotta dell’ex dipendente una giusta causa di recesso e lo condannava a restituire le somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, ritenendo che il patto, oggetto di trattativa alla fine del 2013 ed il cui testo definitivo risaliva al 6 febbraio 2014, era stato volutamente retrodatato alla data di assunzione del lavoratore il 9.1.2013; che non si trattava della formalizzazione di un accordo a quella data già intervenuto; che era evidentemente sbilanciato in favore del dirigente e che le condizioni riportate non erano quelle contenute nel modello inviato dai legali di fiducia della società ma era stato formato con la connivenza dell'allora AD che peraltro non ne aveva il potere.
Ricorreva quindi in Cassazione il lavoratore, rilevando, tra i diversi motivi di gravame, come i Giudici di secondo grado non avessero tenuto minimamente in conto la circostanza che il procedimento penale avviato per truffa nei suoi confronti si fosse concluso per assoluzione.
La Corte, nel respingere detta doglianza, ha graniticamente ribadito che, ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto ad integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso (Cass. n. 20731/2007, cui adde Cass.n. 37/2011). Ha quindi aggiunto che “come è stato puntualizzato (cfr. Cass. n. 17652/2007) nel giudizio relativo alla legittimità del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore sulla base di un fatto per il quale sia stata esercitata l'azione penale, il giudice civile non è vincolato dal giudicato penale ed è, quindi, abilitato a procedere autonomamente alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo, nel caso di mancata partecipazione al giudizio penale del datore di lavoro, che pure era stato posto in condizione di farlo. Ed infatti l'articolo 654 c.p.p., diversamente dall'articolo 652 relativo ai giudizi civili di risarcimento del danno, esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione”.
Gli Ermellini hanno dunque respinto il ricorso dell’ex dipendente, ritenendo che la sentenza impugnata avesse motivatamente accertato la gravità dei fatti addotti a sostegno del licenziamento e la proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dei fatti.