386
Utilizzabili per fini disciplinari le informazioni raccolte attraverso impianti di videosorveglianza installati previo accordo sindacale
Cass. Sez. Lav. ord. N. 23985 del 6 settembre 2024.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
La recentissima pronuncia in oggetto affronta il caso di un lavoratore, addetto alla biglietteria, licenziato per non aver consegnato ai clienti il resto dovuto, senza poi registrare l'esubero della cassa; tali fatti emergevano da un filmato contenuto in un DVD, con le riprese della biglietteria tratte dall'impianto aziendale di videosorveglianza, installato sulla base di un accordo aziendale stipulato con le organizzazioni sindacali.
L’ex dipendente impugnava il licenziamento sul presupposto di una asserita violazione dell’art. 4 l. 300 del 1970, dolendosi che il controllo operato dalla società non fosse consentito, in quanto inerente al corretto svolgimento dell'attività lavorativa e che l'accordo stipulato con le rappresentanze sindacali consentisse la visione delle immagini solo in presenza di un reclamo della clientela, nel caso di specie mancante, con conseguente violazione dei principi di correttezza e di buona fede.
La Corte di Appello di Messina, con sentenza difforme della pronuncia di primo grado, dichiarava la legittimità del licenziamento. Il lavoratore ricorreva dunque in Cassazione.
Orbene, la Corte constatava innanzitutto che l'impianto di controllo era stato installato dalla società a seguito di accordo con le organizzazioni sindacali, il quale prevedeva, quale finalità dichiarata, ‘'l'esigenza di tutela del patrimonio aziendale, dei beni demaniali e la salvaguardia di esigenze di sicurezza'', conformemente a quanto previsto dalla normativa sui controlli a distanza ratione temporis vigente. Inoltre, nel caso di specie, a parere della Corte, le modalità di attuazione delle riprese di videosorveglianza apparivano idonee a garantire il rispetto della dignità e della riservatezza del dipendente, e, dunque, anche del principio di proporzionalità del mezzo utilizzato rispetto allo scopo, atteso che le telecamere erano state posizionate in modo da consentire la visione di un angolo delimitato dell'aria di scambio tra denari e titoli di viaggio, senza possibilità di identificazione visiva immediata degli addetti, possibile solo in un momento successivo ed eventuale.
Detto ciò, la Corte si poneva la questione della utilizzabilità delle informazioni – le riprese visive – raccolte “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” (art. 4, u.c. St. Lav), ritenendo che tra i predetti rientrassero anche “i fini dell’esercizio dell’azione disciplinare”, sempre che vi sia una “adeguata informazione al lavoratore delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nonché il rispetto di quanto disposto nel D.Lgs. 196/03”.
Gli Ermellini inoltre chiarivano che la tutela del patrimonio aziendale (da interpretarsi in modo estensivo) poteva riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali potevano provenire anche da dipendenti dell'azienda, ma anche della propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico, e che giustificavano la medesima protezione giuridicamente garantita da condotte illecite provenienti dall'esterno. Ai fini del decisum, la S.C. riteneva quindi che, nel caso in esame, lo strumento tecnologico di ripresa della biglietteria era installato in modalità non occulte perché autorizzato dall'accordo sindacale, ed era stato impiegato per accertare comportamenti illeciti del dipendente a tutela del patrimonio aziendale, in conformità al novellato art. 4 L. 300/70,, che non integravano una fattispecie di mero inadempimento nell'esecuzione della prestazione lavorativa, per cui la visione del filmato non richiedeva il dettagliato reclamo della clientela.
Il ricorso veniva dunque respinto nel suo complesso e il licenziamento veniva giudicato come legittimo.