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Legittimo il licenziamento dell’infermiera che si rifiuta di eseguire mansioni coessenziali alla funzione di assistenza e cura
Tribunale di Roma Sez. Lavoro Ordinanza del 12 aprile 2023
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
Con la pronuncia in commento la Sezione Lavoro del Tribunale di Roma ha affrontato il caso di un’infermiera, dipendente di una struttura romana, licenziata per aver essa reiteratamente rifiutato di eseguire mansioni sul presupposto che non rientrassero in quelle proprie del suo profilo professionale.
Nello specifico, la lavoratrice, nell’arco temporale di un anno, era stata destinataria, prima che l’azienda procedesse con la risoluzione del rapporto, di ben tre procedimenti disciplinari, il primo, avviato per mancata comunicazione preventiva e giustificazione dell’assenza, conclusosi con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni; il secondo per rifiuto di cambiare il pannolone e di accompagnare una paziente in bagno, conclusosi con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni (provvedimento accettato dalla ex dipendente); il terzo per aver rifiutato di chiudere la finestra nonostante la richiesta della paziente, conclusosi con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni.
Seguiva un quarto procedimento per rifiuto di accompagnare in bagno una paziente con polmonite con pregresso episodio sincopale, che, anche in ragione della plurirediciva specifica, si concludeva con provvedimento risolutivo.
Il licenziamento veniva impugnato dalla alvoratrice, con richiesta di declaratoria di illegittimità del licenziamento e di tutela reintegratoria. A sostegno di queste conclusioni la ricorrente per un verso sosteneva che i fatti oggetto della terza e quarta contestazione non erano effettivamente sussistenti e che quindi i provvedimenti erano stati adottati in assenza del fatto materiale che li motivava, per altro verso affermava che “in ogni caso alla ricorrente in quelle circostanze sarebbe stato rimproverato il
fatto di essersi rifiutata di svolgere mansioni che non erano ricomprese nel proprio livello di inquadramento, con la conseguenza che, quando pure i fatti fossero andati come la resistente aveva sostenuto nelle lettere di contestazione, in ogni caso il suo rifiuto di adempiere la prestazione sarebbe stato legittimo e non avrebbe costituito violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione contrattuale cha la società aveva posto a motivo della sua scelta, prima nel comminare le misure disciplinari, poi nella decisione di risolvere il rapporto senza preavviso”.
Si costituiva in giudizio la società, rilevando la veridicità dei fatti e “per quanto invece attiene il rilievo relativo alla legittimità del rifiuto a rendere la prestazione per estraneità dei compiti in contestazione alla qualifica della ricorrente, ha affermato che “La […] ha, dunque, sempre svolto attività proprie dell’infermiere e, solo marginalmente ed in via del tutto occasionale, quindi assolutamente non prevalente, atti di assistenza diretta”.
Il Giudice, espletata l’istruttoria, concludeva che “tutti i fatti posti a fondamento delle
quattro contestazioni esaminate sono effettivamente avvenuti nei termini contestati nei
procedimenti disciplinari”. Indi, specificava “un primo motivo a sostegno di questa decisione è costituito dalla reiterazione delle condotte contestate nei provvedimenti dal secondo al quarto: in tutti questi casi non si è ripetuta una generica inosservanza ma una condotta specifica che ha comportato il rifiuto della lavoratrice ad effettuare una prestazione da cui dipende la sicurezza e la dignità della persona ricoverata, che non è stata accompagnata al bagno pur avendone necessità (episodi dell’8 febbraio e del 14 novembre 2021) o non è stata cambiata del pannolone (episodio). Altro elemento che connota invece la gravità della condotta è costituito dagli effetti che questi comportamenti determinano su soggetti particolarmente vulnerabili, che proprio per la loro condizione sono affidati alle cure della struttura in cui vengono ricoverati”.
Quanto poi all’asserito legittimo rifiuto di non adempiere a mansioni ritenute inferiori, il Tribunale ha chiarito che “proprio la ricostruzione di questi fatti consente di comprendere, agevolmente ad avviso di questo giudice, come la tesi della ricorrente sulla legittimità del suo rifiuto di adempiere i compiti richiesti non abbia fondamento effettivo: non si è qui in presenza, come ha osservato la parte resistente, di attribuzioni di mansioni inferiori cui la ricorrente sarebbe stata stabilmente e in via prevalente assegnata, tali da giustificare un suo rifiuto ad adempiere, quanto invece di compiti puntuali e coessenziali alla stessa funzione di assistenza e cura alla persona ricoverata nella struttura, per cui non è giustificato in alcun modo il rifiuto”.
Il Tribunale, dunque, pur riconoscendo l’indennità di preavviso, riteneva la decisione datoriale di risolvere il contratto legittima e proporzionata all’entità dei fatti accertati, avendo la società, nella comunicazione del licenziamento del 15 febbraio 2022, “fatto riferimento all’art. 42 del Ccnl per il personale dipendente delle strutture sanitarie che alle lett. A) e C) prevede la possibilità di decidere la risoluzione del rapporto di lavoro quando la violazione in precedenza indicate come presupposti di misure disciplinari solo conservative assumano però particolare gravità o si presentino come reiterate nel tempo”.