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Notizie dalla Liguria

Aiop entra a far parte del Cluster Alisei

Parte la collaborazione con Advance Life Science in Italy per la condivisione di best practice italiane ed europee

L’Aiop, a seguito di domanda di adesione presentata il 7 febbraio e approvata il 17 aprile scorso, è entrata a far parte del Cluster Tecnologico Nazionale Alisei- Scienze della Vita. Nell'ambito del gruppo di lavoro, l'Aiop collaborerà alla Commissione direttiva delle Associazioni imprenditoriali, presieduta da Eugenio Aringhieri (CEO del gruppo Dompè).

L’Alisei (Advance Life Science in Italy), presieduto da Diana Bracco (Presidente e Amministratore Delegato del gruppo Bracco), è il Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita, il cui obbiettivo è quello di promuovere l’interazione tra il sistema della ricerca, il tessuto imprenditoriale e produttivo e le istituzioni pubbliche nel settore della salute, che è un ambito strategico nel tessuto nazionale.

Difendiamo la libertà di scelta del cittadino

Editoriale del Presidente nazionale, Gabriele Pelissero

Mentre la nostra Associazione è concentrata sulla prossima tornata elettorale interna, sia nazionale che regionale (ed è giusto dedicare attenzione e passione alla nostra vita associativa), non mancano purtroppo insidie continue dall'esterno.
L'attività del Parlamento è ferma, e quella del Governo è ridotta all'ordinaria amministrazione (ma cosa significa veramente questa espressione?), ma la Conferenza Stato-Regioni è a lavoro.
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Notizie Aiop Nazionale

Odiare ti costa, a volte, anche il posto di lavoro
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Odiare ti costa, a volte, anche il posto di lavoro

Tribunale di Firenze Sentenza del 16 ottobre 2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Con la pronuncia in commento è stato trattato il caso di un dipendente che aveva utilizzato delle frasi razziste e sessiste su una pagina Facebook aperta al pubblico. Il Tribunale rilevava come la condotta fosse tale da generare un grave danno d’immagine all’azienda e, pertanto, idonea a recidere il vincolo fiduciario, giustificando il licenziamento.
Il giudicante ha infatti ritenuto che il messaggio pubblicato sul noto social network in orario extra lavorativo potesse avere rilevanza disciplinare in virtù della vasta platea dei potenziali recettori del messaggio d'odio offerta da tale strumento.
Secondo questo orientamento, la rilevanza disciplinare dei messaggi cambia quando sono pubblicati su profili social aperti a tutti, o sono pubblicati su account o all’interno di chat telefoniche il cui accesso è filtrato e riservato.
Nel primo caso, l’eventuale contenuto offensivo del messaggio rileva sul piano disciplinare e, quindi, può essere contestato al lavoratore e utilizzato come motivo di licenziamento (qualora sussistano, ovviamente, gli elementi di gravità richiesti dalla legge). Nel secondo caso, la giurisprudenza pare equiparare i messaggi inviati alla chat chiusa o pubblicati sul profilo ad accesso limitato alle forme di corrispondenza privata che, come tali, sono oggetto di tutela costituzionale e non possono essere usate per licenziare o sanzionare un dipendente.
Tuttavia, tale ultima impostazione restrittiva risulta contraddetta dall’orientamento della Corte di legittimità che, in varie occasioni, ha ritenuto che Facebook fosse un luogo pubblico e che, pertanto, la denigrazione dell’azienda attraverso tale mezzo di comunicazione, equivalesse a pubblicare la notizia su un giornale (cfr. ex multiis Cass. n. 40083 del 06 settembre 2018).
Ciò che qui rileva è dunque che l’uso disinvolto dei social media e dei sistemi di messaggistica digitale (WhatsApp, Telegram e simili) potrebbe portare in alcuni casi fino al licenziamento.
Ed infatti, concetto questo troppo spesso dimenticato dai lavoratori, tutto quello che viene scritto sui social, anche fuori dall’orario di lavoro, può essere usato in sede disciplinare, tanto più se il messaggio veicola contenuti offensivi verso il datore di lavoro e i colleghi, soprattutto quando questi contenuti sono indirizzati a una massa indistinta di persone.
A tali conclusioni è giunta altresì la Suprema Corte che, con la Sentenza n.10897 del 2018 che, nel vagliare la legittimità del licenziamento di un rappresentante sindacale per aver pubblicato dei contenuti offensivi per l’azienda, ha ritenuto di confermare il licenziamento, distinguendo tra l’esercizio del diritto di critica - assolutamente lecito e, anzi, oggetto di una tutela rinforzata per consentire l’espletamento del mandato sindacale - e la diffusione di informazioni e notizie false o di contenuto diffamatorio.
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