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Notizie dalla Liguria

Aiop entra a far parte del Cluster Alisei

Parte la collaborazione con Advance Life Science in Italy per la condivisione di best practice italiane ed europee

L’Aiop, a seguito di domanda di adesione presentata il 7 febbraio e approvata il 17 aprile scorso, è entrata a far parte del Cluster Tecnologico Nazionale Alisei- Scienze della Vita. Nell'ambito del gruppo di lavoro, l'Aiop collaborerà alla Commissione direttiva delle Associazioni imprenditoriali, presieduta da Eugenio Aringhieri (CEO del gruppo Dompè).

L’Alisei (Advance Life Science in Italy), presieduto da Diana Bracco (Presidente e Amministratore Delegato del gruppo Bracco), è il Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita, il cui obbiettivo è quello di promuovere l’interazione tra il sistema della ricerca, il tessuto imprenditoriale e produttivo e le istituzioni pubbliche nel settore della salute, che è un ambito strategico nel tessuto nazionale.

Difendiamo la libertà di scelta del cittadino

Editoriale del Presidente nazionale, Gabriele Pelissero

Mentre la nostra Associazione è concentrata sulla prossima tornata elettorale interna, sia nazionale che regionale (ed è giusto dedicare attenzione e passione alla nostra vita associativa), non mancano purtroppo insidie continue dall'esterno.
L'attività del Parlamento è ferma, e quella del Governo è ridotta all'ordinaria amministrazione (ma cosa significa veramente questa espressione?), ma la Conferenza Stato-Regioni è a lavoro.
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Notizie Aiop Nazionale

La salute migliora, ma a che prezzo?
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La salute migliora, ma a che prezzo?

Health at glance 2017

Alberta Sciachì, Responsabile Ufficio Rapporti internazionali

É stato pubblicato a fine anno il rapporto dell’Ocse per il 2017, che presenta una serie di confronti internazionali non solo sullo stato di salute della popolazione, ma anche sulle performance dei sistemi nei Paesi membri. In tale analisi emergono elementi postivi sul miglioramento delle condizioni generali di salute, sulla qualità delle cure e sull’accesso ai servizi – considerato che quasi tutti i Paesi tendono ad assicurare una copertura universale o quasi-universale - ma d’altro canto, si sottolinea che tutto ciò ha un costo, mediamente stimabile nel 9% circa del PIL, e che pertanto è essenziale favorire un buon rapporto costi-efficacia.
Nei due capitoli dedicati ai punti nodali del finanziamento della spesa, vengono approfondite le problematiche relative alla copertura della popolazione che si eleva al 90-95% (ad eccezione di Paesi quali la Grecia, la Polonia e gli Stati Uniti), ai bisogni sanitari ancora disattesi in ragione di costi ed alla spesa out-of pocket. Nella media Ocse, i contributi a carico dei pazienti raggiungono in media il 20% della spesa sanitaria totale, mentre il 10% dei cittadini ha rinunciato a consultare il medico ed il 7% ad acquistare un farmaco prescritto, proprio a causa dei costi.
É dunque indispensabile, secondo quanto emerge dalla ricerca, disporre di risorse finanziarie e materiali sufficienti per assicurare il buon funzionamento dei sistemi nazionali, evitando ogni forma di spreco di tali risorse.
La spesa sanitaria per abitante ha continuato ad aumentare nel 2016, seguendo la tendenza degli ultimi anni, dopo un periodo di “brutale” frenata a cominciare dagli anni 2009-2011, in seguito alla crisi economico-finanziaria mondiale. In molti Paesi, tuttavia, si osservano ancora variazioni significative del tasso di crescita annuale tra il periodo precedente e quello successivo alla crisi, con un rallentamento generale che ha portato tale incremento all’1,4% dopo il 2009, mentre nel corso dei sei anni precedenti si era assettato intorno al 3,6%. Per quanto concerne il rapporto della spesa sanitaria rispetto al Pil, la media dell’Ocse è stimata, come già detto, intorno al 9%. Escludendo il vertice della classifica, in cui figurano gli Stati Uniti (17%) e la Svizzera (12%), l’Ocse registra alcuni Paesi ad alto reddito, come la Germania e la Francia, che consacrano ai servizi sanitari l’11% del Pil, un secondo gruppo di nazioni compreso in una forchetta tra l’8 e il 10% (ad esempio l’Australia), mentre l’Italia figura in un ultimo gruppo, costituito principalmente dai Paesi dell’est, in cui la spesa si colloca mediamente tra il 6 e l’8% … un risultato non certo entusiasmante!
A fronte di tali problematiche di forte contenimento della spesa, in alcuni Paesi quali sono le ricadute sui cittadini utenti dei servizi?
Nel capitolo dedicato agli indicatori chiave delle performance sanitarie a livello nazionale sono prese in esame cinque dimensioni fondamentali: lo stato di salute della popolazione, i fattori di rischio, l’accesso alle cure, la qualità e le risorse disponibili per la sanità. A parere dell’Ocse, la crescita della spesa sanitaria non è necessariamente un fattore negativo quando i vantaggi sono corrispondenti ai costi, ma purtroppo l’esistenza di ineguaglianze ed inefficienze nel settore sanitario è ampiamente dimostrata, anche se non è semplice analizzare puntualmente l’utilizzazione effettiva delle risorse finanziarie, umane e tecniche nei diversi Paesi. Per tale ragione, l’Ocse, più che mirare a realizzare una classifica dei sistemi nazionali, intende chiarire, attraverso una visione d’insieme, diversi aspetti del funzionamento (o malfunzionamento) di tali sistemi, al fine di sintetizzarne i punti di forza e le debolezze per fornire un aiuto utile all’individuazione dei settori di azione d’importanza prioritaria.
Per ciò che riguarda in particolare l’accesso alle prestazioni, oltre ai fattori strutturali come la lontananza geografica da centri di cura e le liste di attesa, si rilevano motivazioni personali ed economiche. Queste ultime rappresentano un problema critico, anche in relazione all’estensione della copertura garantita ed alla percentuale di spesa a carico dei cittadini, soprattutto per le classi a basso reddito.
Tale fenomeno è comprovato dal fatto che un numero crescente di Paesi raccoglie dati per valutare la percentuale di rinuncia alle cure: un fenomeno alquanto sorprendente, considerato che in molti Paesi, come già detto, esiste in principio una copertura universale o quasi, con una partecipazione economica dei cittadini che per principio dovrebbe essere modica. Nonostante ciò, in molti Paesi europei, basati su un modello di welfare, dalla Germania alla Spagna, dalla Svezia al Regno Unito e all’Italia, la percentuale di popolazione che ha rinunciato ad una consultazione per ragioni economiche si aggira intorno al 5%. Tale situazione si accentua nel caso delle spese mediche a diretto carico dell’utente, tra cui quelle oculistiche, farmaceutiche o dentistiche, nonché dei servizi ambulatoriali. Questi maggiori oneri evidentemente incidono soprattutto su coloro che sono svantaggiati dal punto di vista economico, oppure fanno maggiore ricorso a certi tipi di cure, come anziani, malati cronici, disabili. Nei Paesi Ocse, le famiglie dedicano in media il 3% delle loro spese all’acquisto diretto di beni o servizi medici, anche se nella maggior parte dei casi le principali fonti di finanziamento sono a carico del Servizio sanitario nazionale o dell’assicurazione sociale obbligatoria, che di fatto coprono dal 75% all’80% della spesa, lasciando tuttavia una quota non indifferente a carico dei cittadini, attraverso ticket o spesa out of pocket.
Ciò dipende dal fatto che i poteri pubblici finanziano con il loro budget totale un’ampia gamma di servizi, in settori che vanno dall’insegnamento alla difesa, e dunque la quota di spesa ed investimenti per la sanità è determinata non solo dal modello di sistema sanitario e dalla composizione demografica della popolazione, ma anche dalle decisioni politiche e dall’impatto economico. Di conseguenza, le priorità budgettarie possono variare: nel 2015 la quota destinata alla sanità si aggirava in media intorno al 15% della spesa pubblica per salire al 20% in Germania. Non va inoltre trascurato il fatto che le fonti del finanziamento pubblico risalgono anche ai cittadini stessi attraverso le imposte, l’Iva o le quote versate dai lavoratori e dai datori di lavoro.
L’Ocse sottolinea, infine che, seppure il settore sanitario è caratterizzato da una forte componente di risorse umane, il capitale è divenuto nel corso degli ultimi decenni sempre più rilevante come fattore produttivo all’interno dei servizi, a causa della crescente importanza della strumentazione diagnostica e terapeutica, nonché dell’innovazione tecnologica e digitale. A tale riguardo, l’Ocse rileva che in media i Paesi membri hanno dedicato alle spese di capitale lo 0,5% del Pil, contro il 9% destinato alla spese sanitarie correnti, con la Germania, l’Austria e il Belgio che hanno raggiunto lo 0,7-0,8%, mentre Italia e Portogallo hanno visto il valore degli investimenti diminuire di più del 30% rispetto al 2010. A parere degli esperti dell’Ocse, i responsabili pubblici dovrebbero valutare nel campo delle spese in capitale non solo i costi a breve termine, ma anche i vantaggi potenziali a breve, medio e lungo termine, nella consapevolezza che il rallentamento degli investimenti nel settore delle infrastrutture e degli equipaggiamenti può ridurre la capacità di trattare i pazienti ed accrescere le liste di attesa.
In conclusione, tra luci ed ombre, il problema della sostenibilità dei sistemi sanitari e del modello di welfare. Una questione sociale e politica fondamentale, a cui si spera possano dare una risposta adeguata i responsabili pubblici del nostro Paese, anche con il contributo del settore privato, spesso collocato purtroppo in posizione arretrata in tutte le graduatorie riportate nei grafici di Health at glance 2017.

 

Per leggere l'intero Rapporto Ocse clicca su http://bit.ly/2iXzVln

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