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Svolgimento mansioni superiori e relativo inquadramento: cosa si intende per “consecutività”?
Cass. Civ. Sez. lavoro n. 1556 del 23 gennaio 2020
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
Sono pervenuti quesiti da parte di alcune strutture associate in merito alla corretta applicazione dell’art. 15 CCNL nella parte in cui dispone che, nel caso di assegnazione per un periodo “consecutivo” (fissato con termini temporali diversi in base alle categorie) a compiti e mansioni superiori, il lavoratore deve essere inquadrato definitivamente nella corrispondente qualifica. In particolare è stato richiesto se è possibile ovviare al riconoscimento dell’inquadramento superiore frazionando i tempi dell’assegnazione o evitando di raggiungere, volta per volta, il limite massimo fissato dal CCNL.
Orbene, l'attributo "consecutivi", utilizzato dal citato art. 15, se interpretato in senso letterale, dovrebbe comportare che, ove il dipendente venga assegnato per un periodo discontinuo, inferiore al termine contrattuale, a mansioni superiori, in linea generale, non maturerebbe il diritto di inquadramento superiore di cui all'art. 15 CCNL.
Pur tuttavia, sul punto si è reiteratamente espressa la giurisprudenza di legittimità, la quale, sin da tempo, ha espressamente disposto che, in caso di ripetuta assegnazione del lavoratore a mansioni superiori per un periodo complessivamente superiore al limite fissato dal CCNL (o, in mancanza, dalla legge), il riconoscimento dell'inquadramento superiore viene meno solo se la condotta dell'azienda è giustificata da una reale esigenza organizzativa (da provare in giudizio) (si veda a tal proposito Cass. n. 18270/05 e Cass. n. 2542/09)
Tale orientamento è stato successivamente confermato dall’ordinanza oggi in commento (n. 1556/2020), la quale ha affrontato il caso di un lavoratore che era stato reiteratamente assegnato a svolgere incarichi inquadrabili nella categoria superiore (Area Quadri Liv. A) per periodi frazionati di tempo non continuativi sempre inferiori al limite di tre mesi previsto dalla normativa applicabile prima dell’introduzione del maggior termine ad opera del Jobs Act.
Orbene, la Corte di appello, ribaltando il giudizio di primo grado, accertava il diritto del dipendente all’inquadramento nell’Area Quadri Livello A) a far data dall’1.12.2011 e condannava la società datrice al pagamento, in favore del primo, delle relative differenze retributive, rilevando che la reiterata assegnazione a mansioni superiori infratrimestrale non continuativa integrasse “un illegittimo frazionamento del periodo di esercizio di tali mansioni, risultando per tabulas che tale assegnazione, frazionata, ma sistematica, ed in assenza di una qualsivoglia allegazione da parte della società in ordine ad una ragionevole causa che l’avrebbe determinata, inducesse all’applicazione dell’art. 2103 c.c. testo previgente, ben potendosi ravvisare, se non un vero e proprio intento fraudolento del datore di lavoro di impedire la maturazione del diritto alla promozione automatica, comunque, una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento”.
Impugnava la sentenza il datore di lavoro, assumendo che, a fronte della specifica contestazione della esistenza di una preordinata assegnazione a ripetute assegnazioni a mansioni superiori infratrimestrali, il dipendente fosse onerato della prova della volontà datoriale di impedire, attraverso una sistematica interruzione, il raggiungimento dei tre mesi di esercizio delle mansioni superiori; e ciò, in ragione dell’art. 2697 c.c..
Tale assunto non veniva condiviso dalla Suprema Corte, la quale coglieva, invece, l’aspetto elusivo del comportamento datoriale sollevato dal lavoratore, in assenza di qualsiasi allegazione da parte della società in ordine ad una ragionevole causa che avrebbe determinato tale sistematica assegnazione.
La Suprema Corte, in particolare, riteneva condivisibile e scevro di vizi logici e giuridici il percorso motivazionale svolto dalla Corte d’Appello, confermando che l'ipotesi di revoche dell'assegnazione a mansioni superiori "reiterate, sistematiche e artificiali in assenza di una reale esigenza organizzativa" avesse costituito condotta datoriale oggettivamente elusiva della legge, sanzionata mediante l'unificazione per sommatoria dei diversi periodi ai fini dell'assegnazione automatica a mansione superiore.
Specifica a tal proposito la Cassazione: “perchè possa ravvisarsi la sistematicità e la frequenza di reiterate assegnazioni di un lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori il cui cumulo sia utile all’acquisizione del diritto alla promozione automatica in forza dell’art. 2103 c.c., occorre, almeno, una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento; tali elementi possono evincersi da circostanze obiettive ed in particolare, oltre alla frequenza e sistematicità delle assegnazioni, la rispondenza delle stesse ad una esigenza strutturale del datore di lavoro, tale da rivelare la utilità per la organizzazione aziendale della professionalità superiore”.
Per tali motivi, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dal datore di lavoro, confermando tutte le richieste avanzate dal dipendente.