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Notizie dalla Liguria

La scomparsa del Presidente Gustavo Sciachì

Presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000

Lo scorso 25 marzo si è spento l’avvocato Gustavo Sciachì, presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000. Un lungo tratto di strada che rende evidente la grande stima e la fiducia che l’Associazione ha risposto nella sua persona. La sua presidenza ha attraversato il tratto più lungo dei 50 anni della storia dell’Aiop, incidendo profondamente sullo sviluppo dell’Associazione, portandola ad acquisire soprattutto maggiore credibilità e forza nel confronto con le istituzioni regionali e nazionali.

Vietato curarsi negli ospedali migliori

Intervista al Presidente nazionale, Gabriele Pelissero, pubblicata su Il Giornale

«Stiamo scivolando verso una situazione inaccettabile - lancia l'allarme Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop -. Invece di migliorare il livello medio nelle regioni che più zoppicano, si vogliono introdurre filtri e blocchi contro le realtà all' avanguardia. E in questo modo, senza che l' opinione pubblica sia stata informata, si toglierà a migliaia di pazienti il potere di scegliere i centri più evoluti. Penso alle migliaia di persone che oggi puntano a Nord per farsi impiantare una protesi all' anca o al ginocchio».

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Notizie Aiop Nazionale

Licenziamento disciplinare: proporzionalità e disvalore ambientale
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Licenziamento disciplinare: proporzionalità e disvalore ambientale

Corte di Cassazione, Sentenza n. 24619 del 2.10.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale

La vicenda processuale segnalata prende le mosse dal licenziamento disciplinare comminato ad una dipendente, gerente di un punto vendita, per aver ripetutamente abusato della propria posizione gerarchica sovraordinata per compiere una serie di attività incompatibili con il proprio ruolo, nonché rimproverare e mortificare le colleghe ad essa sottoposte.
In particolare alla lavoratrice veniva contestato l’aver introdotto nel negozio una sarta di fiducia al fine di farsi confezionare un abito identico a un modello in vendita; l’aver svolto attività telefonica di cartomanzia in orario di lavoro; l’avere messo da parte e occultato capi di abbigliamento e altri oggetti destinati alla vendita; l’aver indossato capi destinati alla vendita durante l’orario di lavoro; l’essersi ripetutamente assentata dal negozio senza autorizzazione; l’avere ripetutamente rimproverato e mortificato le colleghe alla stessa sottoposte, in qualità di gerente del punto vendita, in particolare non prestando soccorso a una commessa che si era sentita male e anzi rivolgendole offese e costringendo due colleghe, che stavano consumando il pranzo sul tavolo del magazzino, a mangiare su di un cartone appoggiato sul pavimento.
Nonostante tali evidenze la Corte di appello di Genova, in riforma della Sentenza del Tribunale, riteneva che taluni dei fatti addebitati alla lavoratrice non fossero stati sufficientemente provati e come, in ogni caso, valutati nel loro complesso, non risultassero di tale gravità da giustificare il licenziamento.
Ricorreva per Cassazione l’Azienda con ben sette motivi di ricorso evidenziando tra l’altro, per ciò che qui compete, l’aver “la Corte di appello ritenuto che i fatti contestati alla lavoratrice non fossero, valutati nel loro complesso, di gravità tale da giustificare il licenziamento”, nonché “avere la Corte trascurato di considerare le mansioni di gerente svolte dalla lavoratrice nel punto vendita di Genova e le maggiori responsabilità connesse a tale ruolo”.
La Corte, investita del ricorso, richiamava il proprio consolidato orientamento secondo cui “per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento con specifico riferimento al requisito della proporzionalità della sanzione occorre accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro” (Si vedano tra le altre Cass. n. 12798/2018).
Inoltre, la Cassazione riteneva che la sentenza impugnata non avesse considerato, oltre alla molteplicità dei fatti ascritti, il ruolo svolto dalla lavoratrice e le connesse responsabilità tanto sul piano di un più intenso obbligo di diligenza, come del dovere di comportamenti tali da costituire positivi riferimenti per i propri sottoposti.
In tal senso, “relativamente alla necessità di valutare la condotta del lavoratore anche alla luce del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere per gli altri dipendenti dell’impresa a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto degli obblighi connessi al rapporto di lavoro”.
In altre parole la Corte, nel cassare l’impugnata sentenza ritenendo la condotta tenuta dalla dipendente giusta causa del recesso datoriale, ha rimarcato due importanti principi di diritto, ovvero in caso di impugnativa di un licenziamento disciplinare, ai fini di valutare la proporzionalità dello stesso, è necessario prendere in esame la complessiva condotta del lavoratore, anche nella sua portata soggettiva, e l’eventuale idoneità a ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario che deve sovraintendere ad ogni rapporto di lavoro.
In seconda battuta, effettuata tale valutazione, il Giudice non può esimersi dal valutare l’impatto del contegno del lavoratore sulla realtà ambientale e il conseguente disvalore ambientale cagionato dai comportamenti assunti con particolare attenzione alla posizione professionale rivestita.
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