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La conciliazione sindacale è inoppugnabile anche se è sottoscritta presso la sede dell’azienda?
Cassazione Civ. Sez. Lav. n. 1975 del 18 gennaio 2024.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale
La pronuncia in commento affronta il caso di una lavoratrice, la quale adiva il Tribunale, assumendo di aver diritto al riconoscimento del lavoro subordinato nonchè a differenze retributive per espletamento di mansioni superiori e lavoro straordinario. Deduceva di aver sottoscritto un verbale di conciliazione in sede sindacale, di cui non le era stata data lettura e richiedeva pertanto la condanna della società, previa declaratoria di nullità della conciliazione.
Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda per intervenuta conciliazione. La sentenza veniva confermata anche dalla Corte di Appello, la quale evidenziava che: “l’inoppugnabilità della conciliazione, se stipulata in sede sindacale, è prevista dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. in considerazione dell’effettiva partecipazione dei rappresentanti sindacali all’iter transattivo, poiché tale partecipazione fa venire meno la condizione di inferiorità del lavoratore, del quale dunque si garantisce una sostanziale libertà di volontà (Cass. n. 2244/1995); b) il requisito della fiducia fra lavoratore e rappresentante sindacale può evincersi dalla firma contestuale del verbale da parte dei due soggetti; c) dal verbale si evince che il rappresentante sindacale ha avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliazione e della sua inoppugnabilità ed è indicato espressamente l’oggetto, ossia le rivendicazioni economiche ….; […] irrilevante è il fatto che la conciliazione sia avvenuta in luogo diverso dalla sede del sindacato, in assenza di prova che tale situazione abbia in quale modo determinato uno squilibrio in favore del datore di lavoro o abbia inciso sulla libera determinazione di volontà del lavoratore o abbia in qualche modo pregiudicato la comprensione della portata e delle conseguenze dell’accordo; i) altrettanto irrilevante è il fatto che la Florenzi non fosse iscritta al sindacato UGL, perché ciò non preclude certo la possibilità di concludere una conciliazione con l’assistenza di un rappresentante sindacale; j) è comunque mancata qualunque prova del fatto che il mancato conferimento di un mandato preventivo abbia inciso sulla validità della conciliazione; k) anzi, dall’istruttoria espletata è emersa l’effettività della conciliazione e dell’assistenza del rappresentante sindacale”.
La lavoratrice ricorreva quindi in Cassazione, ritenendo che la Corte Territoriale avesse dichiarato valida la conciliazione senza verificare l’effettività dell’assistenza sindacale, l’esistenza di una res dubia e la circostanza che la sottoscrizione del verbale non fosse avvenuta presso la sede del sindacato.
Gli Ermellini, nel ribadire quanto sostenuto dai Giudici di secondo grado, specificavano che la necessità che la conciliazione sindacale sia sottoscritta presso una sede sindacale non è un requisito formale, bensì funzionale ad assicurare al lavoratore la consapevolezza dell’atto dispositivo che sta per compiere e, quindi, ad assicurare che la conciliazione corrisponda ad una volontà non coartata, quindi genuina, del lavoratore. Pertanto, chiarisce la Corte, “se tale consapevolezza risulti comunque acquisita, ad esempio attraverso le esaurienti spiegazioni date dal conciliatore sindacale incaricato anche dal lavoratore, lo scopo voluto dal legislatore e dalle parti collettive deve dirsi raggiunto. In tal caso la stipula del verbale di conciliazione in una sede diversa da quella sindacale (nella specie, presso uno studio oculistico: v. ricorso per cassazione, p. 12) non produce alcun effetto invalidante sulla transazione. Sul piano del riparto degli oneri probatori, se la conciliazione è stata conclusa nella sede “protetta”, allora la prova della piena consapevolezza dell’atto dispositivo può ritenersi in re ipsa o desumersi in via presuntiva (Cass. n. 20201/2017). Pertanto graverà sul lavoratore l’onere di provare che, ciononostante, egli non ha avuto effettiva assistenza sindacale. Se invece la conciliazione è stata conclusa in una sede diversa, allora l’onere della prova grava sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare che, nonostante la sede non “protetta”, il lavoratore, grazie all’effettiva assistenza sindacale, ha comunque avuto piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte”.
Inoltre, veniva ribadito in sentenza che “sul piano formale il legislatore non richiede affatto che il mandato al rappresentante sindacale sia anteriore o comunque preventivo rispetto al tempo e al luogo in cui viene stipulata la conciliazione. Sul piano sostanziale, la contestualità del mandato rispetto alla stipula dell’atto potrebbe costituire un indizio circa la non effettività dell’assistenza sindacale, che tuttavia deve essere corroborato da altri elementi indiziari per integrare la prova presuntiva di tale vizio (art. 2729 c.c.), in grado di inficiare la validità della conciliazione. Il relativo onere probatorio grava sulla lavoratrice, in quanto attrice che ha domandato la previa declaratoria di nullità della conciliazione, ma, come accertato dalla Corte territoriale, non risulta adempiuto”.
Per tali motivi, anche la Suprema Corte rigettava il ricorso proposto dalla lavoratrice, ritenendo la piena validità della conciliazione raggiunta tra le parti.