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Notizie dalla Liguria

Gabriele Pelissero nominato presidente del Cluster Lombardo Scienze della vita

Il Consiglio direttivo del Cluster lombardo Scienze della vita ha nominato il nuovo presidente. Si tratta di Gabriele Pelissero che prenderà il posto di Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri. “Sono onorato per questa nomina. - afferma Gabriele Pelissero - La filiera della salute è una grande opportunità di crescita per il territorio lombardo e per tutto il Paese, a livello nazionale rappresenta l’11% circa del Pil, per un valore di 200 miliardi di euro circa ed è quindi molto più ampia di quanto sembri. Parte dal lavoro dei giovani ricercatori, per concludere il suo ciclo al letto del paziente, grazie all’integrazione dei suoi tre capisaldi: industria, ricerca e sanità”.

Le politiche sanitarie sono anche politiche industriali e incidono sulla competitività

Intervento del Vice presidente Aiop, Barbara Cittadini, durante le Assise Generali di Confindustria

7.000 sono stati gli imprenditori che hanno partecipato, discusso e condiviso le proprie esperienze e la propria visione di futuro in occasione delle Assise generali di Confindustria dello scorso 16 febbraio. Ed è stata proprio in tale occasione che il Vice presidente Aiop, Barbara Cittadini, è intervenuta dichiarando come "La sanità, nelle sue componenti pubblica e privata, che nel nostro Paese rappresenta l'11% del Pil e dà lavoro a 2 milioni e mezzo di persone, rappresenta un fattore di sviluppo per il Paese, sia per il contributo dei settori economici coinvolti sia per il suo impatto sociale.
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Notizie Aiop Nazionale

Offese e minacce al superiore: legittimo il licenziamento poiché non si tratta di mera insubordinazione
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Offese e minacce al superiore: legittimo il licenziamento poiché non si tratta di mera insubordinazione

Cass. sez. Lav. n. 4230 del 19 febbraio 2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La Corte di Cassazione, con la recente pronuncia in oggetto, ha affrontato il caso di una risoluzione operata nei confronti di una lavoratrice per aver essa proferito insulti pesanti e minacce, sul luogo di lavoro, nei confronti di una collega sovraordinata, salvo poi vedersi inizialmente reintegrare in servizio e indennizzare dal Tribunale cui si era rivolta per impugnare il recesso, pronuncia poi confermata dalla Corte d’Appello di Bologna in fase di reclamo. In particolare, la Corte bolognese - sebbene avesse affermato la rilevanza disciplinare della contestazione datoriale formulata alla dipendente e consistente appunto nell’aver pronunciato offese e minacce a un superiore - aveva però escluso che queste ultime avessero un “minimo di potenzialità intimidatoria oggettiva” anche in virtù della mancanza di “alcun precedente di condotta violenta”, e aveva quindi concluso anch’essa per la tutela reintegratoria, sussumendo tale comportamento nell’ambito di una mera “insubordinazione verso i superiori”. Insubordinazione che, secondo il contratto collettivo applicato in questo caso, avrebbe dovuto essere punita con una sanzione conservativa, non ricorrendo l’elemento della “gravità” della insubordinazione che lo stesso contratto prevedeva come necessario, per poter legittimamente irrogare un licenziamento disciplinare.

La Corte, disattendendo in toto le disposizioni del precedente Giudice, ha chiarito che per ricondurre una determinata infrazione nell’alveo delle sanzioni conservative piuttosto che in quelle risolutive, occorre necessariamente verificare se la condotta del lavoratore sia connotata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti rispetto alla disposizione contrattuale ed è quindi insufficiente un’indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile alle disposizioni del contratto collettivo, essendo sempre doveroso valutare in concreto se la condotta tenuta, per la sua gravità, sia tale da far venir meno la fiducia del datore di lavoro e ciò con particolare attenzione al comportamento del dipendente che indichi una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

Nel caso di specie, dunque, il licenziamento è stato ritenuto pienamente legittimo avendo i giudici della Corte di appello trascurato di considerare che la frase pronunciata dalla lavoratrice non solo fosse espressione di insubordinazione, ma si accompagnasse anche a una ingiuria con epiteti offensivi e a una minaccia nei confronti della collega gerarchicamente sovraordinata, tale anche solo potenzialmente da ingenerare in quest’ultima timore e da turbarne o diminuirne la libertà psichica.

Per tali motivi, gli Ermellini hanno accolto il ricorso proposto dall’azienda con condanna della lavoratrice alle spese di lite.

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