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Notizie dalla Liguria

Storica apertura di Confindustria alla filiera della salute

Presentato il Rapporto annuale sulla filiera della salute

La “white economy” è ormai un potente driver dell’economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell’occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l’Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. É questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato mercoledì mattina a Roma, e realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa, tra cui Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme.

Via Irpef nelle Regioni risanate e Titolo V da modificare

«Le Regioni uscite dal Piano di rientro e che hanno raggiunto il pareggio di bilancio, non hanno più nessuna ragione di mantenere una super aliquota Irpef che era stata pensata per coprire il deficit nella sanità e che pesa tantissimo sui cittadini».
Questa è la posizione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta alla trasmissione radiofonica Radio anch' io su Radio Rai 1.
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Notizie Aiop Nazionale

Lo smart working e i controlli a distanza del dipendente
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Lo smart working e i controlli a distanza del dipendente

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

A causa dell’emergenza epidemiologica in corso, le aziende stanno ricorrendo alla forma di lavoro agile che permette, da una parte, di proseguire l’attività e, dall’altra, di salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavorati in piena conformità con gli oneri posti in capo al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c..
Il lavoro agile (o smart working) è definito dalla Legge 81/2017 quale modalità d’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi di norma stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro.
Tuttavia, si deve ricordare che il Governo, con i vari recenti provvedimenti normativi adottati, ha in parte derogato alla disciplina di cui sopra, prevedendo, tra l’altro, la possibilità del datore di lavoro di imporre tale modalità di erogazione della prestazione lavorativa, senza la necessità del consenso del lavoratore.
La possibile assenza di un accordo tra azienda e lavoratore, se da una parte semplifica la procedura, dall’altra, pone il problema della mancata accettazione espressa del lavoratore di alcune clausole e, per ciò che ivi rileva, della possibilità di effettuare i controlli a distanza.
La legge 81/2017, prevedendo l’accordo, non si pone tale problematica e affronta il tema privacy esclusivamente rinviando all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che, nella nuova formulazione, prevede la possibilità di raccogliere le informazioni mediante gli strumenti utilizzati per rendere la prestazione di lavoro e di poterne disporre per tutti i fini connessi al relativo rapporto, purché sia stata fornita ai dipendenti adeguata informazione sulle modalità d’uso dei dispositivi stessi e sui possibili controlli.
Pertanto, è opportuno che, anche in assenza dell’accordo individuale con cui si dispone la modalità di lavoro agile, i datori di lavoro predispongano un documento con cui il dipendente venga compiutamente informato, tra l’altro, dell’eventualità di controlli da remoto, al fine di permettere che i dati così raccolti possano essere utilizzati per tutti i fini connessi al rapporto.
Orbene, ciò premesso, si rende necessario comprendere quali siano i controlli che il datore di lavoro è legittimato ad effettuare sul dipendente in smart working e come questi si concilino con il diritto alla riservatezza del lavoratore, al fine di evitare che lo smart working possa alimentare un contenzioso inatteso.
Ed invero, essendo il lavoro agile strettamente correlato all’utilizzo di nuove tecnologie che permettono potenzialmente al datore di lavoro di monitorare in maniera molto ravvicinata il dipendente (si pensi ai vari sistemi di geolocalizzazione, finanche alla possibilità di rilevare il livello di stanchezza), corre evidenziare che, in linea generale, il controllo risulta legittimo se il datore di lavoro è in grado di dimostrare come l’utilizzo delle tecnologie informatiche non rientri in un programma volto esclusivamente al controllo dell’attività del lavoratore.
Inoltre, pare opportuno che le aziende si dotino di sistemi c.d. “by design”, ovvero che permettano, per impostazione predefinita, nonché tenendo conto delle concrete modalità d’esecuzione della prestazione lavorativa, di tutelare la privacy del lavoratore (ad es. rendendo i dati disponibili al datore di lavoro solo in casi eccezionali).
In altre parole, i datori di lavoro non potranno usare i software aziendali, le webcam e le altre tecnologie digitali per capire se il dipendente è collegato al suo computer, se si trova in casa o se invece sta facendo sport, o per verificare quali siti internet sta utilizzando. Ed infatti, oltre a essere contrario alla logica del lavoro agile, questo comportamento sarebbe illecito.
Tuttavia, il Jobs Act ha precisato che le restrizioni di cui sopra non si applicano agli “strumenti di lavoro”, pertanto, il datore di lavoro che ha il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo un illecito contrattuale, può svolgere controlli mirati anche a distanza, a patto che siano proporzionati e non invasivi, e che riguardino beni aziendali (il pc fornito dal datore, la casella di posta aziendale, etc…) rispetto ai quali il dipendente non ha alcuna aspettativa di segretezza, anche alla luce dell’informativa rilasciata.
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