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Notizie dalla Liguria

Storica apertura di Confindustria alla filiera della salute

Presentato il Rapporto annuale sulla filiera della salute

La “white economy” è ormai un potente driver dell’economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell’occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l’Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. É questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato mercoledì mattina a Roma, e realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa, tra cui Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme.

Via Irpef nelle Regioni risanate e Titolo V da modificare

«Le Regioni uscite dal Piano di rientro e che hanno raggiunto il pareggio di bilancio, non hanno più nessuna ragione di mantenere una super aliquota Irpef che era stata pensata per coprire il deficit nella sanità e che pesa tantissimo sui cittadini».
Questa è la posizione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta alla trasmissione radiofonica Radio anch' io su Radio Rai 1.
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Notizie Aiop Nazionale

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Fatto materiale e fatto giuridico. La proporzionalità nei licenziamenti Jobs Act

Corte di Cassazione, sentenza n. 12174 del 08.05.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte si è pronunciata per la prima volta sull’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/15, riaprendo l’annosa problematica del “fatto materiale” o “fatto giuridico” , che aveva diviso la giurisprudenza di merito e suscitato diverse interpretazioni in dottrina.
Ed invero, già la legge 92/12 (cd. Legge Fornero), modificando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha limitato la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato, ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, ovvero dei codici disciplinari applicabili”.
La locuzione “insussistenza del fatto contestato” ha dato luogo a diverse interpretazioni, sia in dottrina che in giurisprudenza, sino a giungere all’elaborazione di due contrapposte teorie: da un lato, la teoria del “fatto materiale”, in base alla quale la reintegrazione va circoscritta all’ipotesi d’insussistenza del solo fatto materiale contestato, dall’altro, quella del “fatto giuridico”, secondo cui ai fini della reintegrazione nel posto di lavoro è necessario considerare non solo la sussistenza del fatto storico materialmente commesso dal lavoratore, ma anche la rilevanza disciplinare e giuridica del fatto, teoria avallata dalla gran parte della giurisprudenza di merito.
Il Jobs Act, con il cennato articolo 3 co. 2 ha abbracciato la teoria del “fatto materiale”, precisando che il giudice dovrà disporre la reintegrazione “esclusivamente nelle ipotesi … in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” (articolo 3, comma 2, Dlgs 23/15).
Tale norma avrebbe dovuto consentire al datore di lavoro di prevedere al momento del licenziamento con certezza (quasi matematica) il rischio di causa, sia in termini di possibile reintegrazione in servizio del dipendente sia, alternativamente, con riferimento al possibile quantum risarcitorio.
Tuttavia, la certezza sanzionatoria ha avuto certamente vita breve. Ed infatti, con la oramai nota sentenza n. 194/18 la Corte Costituzionale ha censurato il meccanismo di quantificazione dell’indennità spettante al lavoratore in ipotesi di declaratoria di illegittimità del licenziamento previsto dall’art. 3 comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015 - ed ossia, un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” - poiché, a dire della Corte, rendeva l’indennità rigida e uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato (Vedi Informaiop n. 279).
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha proseguito l’opera di smantellamento del Jobs Act. Accogliendo il ricorso promosso dalla lavoratrice, la Corte ha precisato che “ai fini della pronuncia di cui all’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23 del 2015, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore … comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”.
In altre parole, la Cassazione, con la sentenza in commento, sebbene rilevi come la dipendente si sia inopinatamente allontanata dal posto di lavoro (fattispecie indubbiamente rilevante sotto il profilo disciplinare), compie una valutazione riguardo la sproporzione del licenziamento rispetto al fatto contestato che dovrebbe esserle preclusa, reintroducendo surrettiziamente la discrezionale valutazione della rilevanza disciplinare del comportamento contestato e, così, rischiando di vanificare la portata normativa del D.Lgs 81/2015 con cui il legislatore ha voluto introdurre e specificare l'aggettivo “materiale”.
Tale orientamento, è stato altresì confermato con la Sentenza 14063 del 23 maggio 2019, con cui la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul principio di proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l'inadempimento, precisando che il giudice non può esimersi dall'accertamento in concreto della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione adottata, anche nel caso in cui la condotta sia indicata nelle esemplificazioni previste dalla contrattazione collettiva come ipotesi di licenziamento.
Ed invero, anche in tale giudizio la Cassazione ha ritenuto di effettuare una valutazione di merito, nonostante la condotta tenuta dal lavoratore rientrasse nelle fattispecie tipizzate che il CCNL applicato in azienda sanzionava con provvedimenti non conservativi.
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