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Notizie dalla Liguria

Storica apertura di Confindustria alla filiera della salute

Presentato il Rapporto annuale sulla filiera della salute

La “white economy” è ormai un potente driver dell’economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell’occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l’Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. É questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato mercoledì mattina a Roma, e realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa, tra cui Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme.

Via Irpef nelle Regioni risanate e Titolo V da modificare

«Le Regioni uscite dal Piano di rientro e che hanno raggiunto il pareggio di bilancio, non hanno più nessuna ragione di mantenere una super aliquota Irpef che era stata pensata per coprire il deficit nella sanità e che pesa tantissimo sui cittadini».
Questa è la posizione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta alla trasmissione radiofonica Radio anch' io su Radio Rai 1.
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Notizie Aiop Nazionale

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Le novità giuslavoristiche più rilevanti del 2018

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Il 2018 è stato un anno segnato da numerosi interventi in materia di diritto del lavoro, il cui impianto nodale, costituito dal Jobs Act, è stato radicalmente modificato sia ad opera del Legislatore che ad opera della Giurisprudenza.
La novità più importante dell’anno appena trascorso è sicuramente costituita dall’entrata in vigore del decreto 87/2018, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, convertito con modificazioni dalla l. 96/2018.
Il Decreto ha modificato radicalmente la disciplina dei contratti a termine, riducendone il limite temporale da 36 a 24 mesi, nonché le possibili proroghe da 5 a 4. Inoltre, per le proroghe dei contratti più lunghi di 12 mesi, nonché in caso di rinnovo, ha previsto tre causali tipiche: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; a1) esigenze sostitutive di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

La riforma del Jobs Act è proseguita con la Sentenza n. 194/2018, con cui la Corte Costituzionale ha censurato il meccanismo di quantificazione dell’indennità spettante al lavoratore in ipotesi di declaratoria di illegittimità del licenziamento previsto dall’art. 3 comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015 - ed ossia, un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” - poiché, a dire della Corte, rendeva l’indennità rigida e uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato.
Pertanto, il Giudice, nel quantificare il risarcimento del danno spettante al lavoratore ingiustamente licenziato (nel limite dalle 6 alle 36 mensilità), ad oggi, è tenuto a tener conto non solo dell’anzianità di servizio, ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.
In altre parole, le suesposte modifiche hanno comportato, da un lato, una crescente difficoltà per le imprese di preventivare i costi del contenzioso e, dall’altro, indotto le stesse ad un atteggiamento più prudente nel mercato del lavoro, come testimoniato dagli studi presentati dall’Istat e dall’Inps che rilevano un forte calo della stipula di nuovi contratti di lavoro rispetto al precedente periodo di riferimento.

Il 2018 è stato anche l’anno dell’effettiva entrata in vigore del Regolamento Ue 2016/679, noto come GDPR (General Data Protection Regulation) relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali.
L’impatto del regolamento in materia giuslavoristica è stato di grande rilievo. Invero, in conseguenza del principio di accountability (responsabilizzazione) previsto dal Regolamento Europeo, le aziende sono state onerate ad una particolare cura nel trattamento dei dati sensibili e all’introduzione di buone pratiche per la formazione dei lavoratori, i quali, a norma degli artt. 29 e ss. del GDPR, devono ricevere specifiche istruzioni riguardo il trattamento e le misure di sicurezza adottate.

Inoltre, nell’anno appena passato, i Giudici del Lavoro, sia di merito che di legittimità, si sono spesso dovuti confrontare con tematiche attinenti l’utilizzo dei Social Network e alla portata probatoria dei potenziali elementi di prova raccolti nel mondo virtuale.
In particolare, è stato ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente che, assentatosi dal lavoro previa presentazione di certificato medico, pubblicava su Facebook delle foto che lo ritraevano al mare, mentre partecipava a feste serali incompatibili con lo stato di malato. Inoltre, alla luce della corretta ponderazione tra l’obbligo di fedeltà e il diritto di opinione, sono stati validati diversi licenziamenti intimati al dipendente che aveva pubblicato (o anche condiviso) post denigratori nei confronti del proprio datore di lavoro o azienda.
Di rilievo, infine, risultano le numerose pronunce dei giudici di merito che hanno rigettato i ricorsi dei lavoratori che istavano per la censura del licenziamento comminato a causa dell’eccessivo tempo trascorso sul noto Social Network. In tutti i casi, il lavoratore riteneva che la produzione della cronologia, ledesse il proprio diritto alla privacy, ma i Giudici hanno concordemente statuito per l’utilizzabilità di tale mezzo in quanto né contrario al GDPR, né, tantomeno, censurato dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
Sempre in materia di mezzi di prova, si segnala che la Cassazione, tornando sull’argomento, ha dichiarato legittima la condotta del datore di lavoro che crei un falso account e si metta in contatto con i dipendenti, al fine controllare il tempo dedicato a Facebook durante l’orario di lavoro.

Nel 2018 inoltre, gli operatori e i giudici si sono dovuti confrontare con l’istituto del whistleblowing che prevede la possibilità per il dipendente di denunciare comportamenti illeciti riscontrati nella propria azienda.
Per quanto di competenza delle aziende, sembra che la soluzione più diffusa sia stata la creazione di sportelli online, ovvero di piattaforme che fanno da centri di raccolta automatici per le segnalazioni, con il valore aggiunto dell’anonimato tecnologico (condizione che permette all’utente di fare rilievi e fornire documenti senza essere identificato). Se l’istituto è stato generalmente accolto con favore dalle aziende, più critico è risultato l’approccio della giurisprudenza. In particolare, nella prima pronuncia in materia, la Cassazione ha ritenuto illegittima la condotta attiva di un dipendente volta a procurarsi le prove di illeciti commessi in azienda attraverso una specifica ricerca, essendo tale attività riservata a soggetti autorizzati.

In conclusione, si può considerare il 2018 come un anno di incertezze, poiché sono stati abbattuti alcuni dogmi del diritto del lavoro posti dalla precedente normativa, senza tuttavia, proporre uno schema di lungo periodo volto ad offrire certezze agli operatori. In tale contesto è auspicabile che il Legislatore, per il nuovo anno, adotti delle linee guida in materia giuslavoristica, al fine di permettere alle imprese di ritornare ad investire nel lavoro.
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