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Notizie dalla Liguria

Storica apertura di Confindustria alla filiera della salute

Presentato il Rapporto annuale sulla filiera della salute

La “white economy” è ormai un potente driver dell’economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell’occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l’Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. É questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato mercoledì mattina a Roma, e realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa, tra cui Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme.

Via Irpef nelle Regioni risanate e Titolo V da modificare

«Le Regioni uscite dal Piano di rientro e che hanno raggiunto il pareggio di bilancio, non hanno più nessuna ragione di mantenere una super aliquota Irpef che era stata pensata per coprire il deficit nella sanità e che pesa tantissimo sui cittadini».
Questa è la posizione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta alla trasmissione radiofonica Radio anch' io su Radio Rai 1.
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Notizie Aiop Nazionale

Sicurezza delle cure, comunicazione, sostenibilità. L’eredità del 2017.
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Sicurezza delle cure, comunicazione, sostenibilità. L’eredità del 2017.

“La vita comincia e finisce. L’impronta che lasci, quella resta. Se sei stato utile a qualcuno. Se hai lasciato il mondo un po’ più a posto di come l’hai trovato. E se hai completato il tuo percorso, così come volevi tu, allora sei fortunato." (Giuseppe Rotelli).

Antonella Eliana Sorgente, Responsabile Relazioni Istituzionali Gruppo Ospedaliero San Donato

Il 2017 è stato sicuramente un anno che lascerà la sua impronta nella storia di chiunque lavori all’interno di una struttura sanitaria. Tutto è cambiato creando le basi per l’evoluzione, si spera positiva, del rapporto tra medicina e società civile.
È stata approvata la legge Gelli–Bianco. Una legge complessa e controversa, odiata da molti e amata da altri. A prescindere dal pensiero di ciascuno di noi sui singoli articoli della stessa, è necessario riflettere sul vero messaggio che ha voluto lasciare. La sicurezza delle cure passa attraverso “…l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione del rischio connesso all’erogazione delle prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali tecnologiche ed organizzative” (art. 1).
Queste poche parole, che agli occhi degli scettici possono apparire dichiarazioni di principio, sono in realtà il significato vero e autentico di ciò che dovremo fare da oggi in poi.
Curare non significa sempre guarire, ma significa cercare di riportare il nostro paziente alla miglior condizione possibile. Il sanitario non ha un obbligo di garantire la guarigione, ma ha il dovere e l’obbligo di fornire la cura migliore possibile, avendo la tranquillità di osare se necessario. Così facendo sarà utile a qualcuno.
La medicina non è una scienza esatta e non è in grado di spiegare tutto, ma deve provare a comunicare questa verità al paziente che si affida per essere curato.
Il Legislatore, negli ultimi scampoli della legislatura, ha voluto ricordare a tutti il problema della comunicazione.
Il verbo comunicare deriva dal latino “communicare”, che sua volta deriva da cum –con- e munire-legare, e significa “far altri partecipi di qualcosa”. La legge recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” ha individuato nella condivisione un ruolo cruciale. La legge si fonda su un’ interpretazione, vera e autentica, del combinato disposto dell’art. 32 e 13 della Costituzione. La legge ha confermato quanto già avevano affermato i nostri padri costituenti: al paziente deve essere riconosciuto il diritto all’autodeterminazione terapeutica che si estende alla possibilità di esprimere un consapevole diritto al rifiuto delle cure.

Il confine della medicina si pone così nella relazione di cura, dove la cura è intesa nel suo senso più alto di attenzione, mai di sopruso, e dove l’ultima parola su trattamenti invasivi o salvavita spetta al paziente. Le disposizioni anticipate di trattamento consentiranno anche di sgomberare il campo dalla profonda e a volte strumentale confusione che si è fatta nel dibattito pubblico tra eutanasia e interruzione di un trattamento sanitario, quest’ultima legittima perché non stabilisce alcun nesso di causalità diretta con la morte del paziente ma ne tutela piuttosto la libera espressione della volontà……..Queste disposizioni non riguardano il darsi la morte (su questo punto, il timore di una parte del mondo cattolico è mal fondato), bensì il senso della cura e il suo limite, quando il paziente intende reagire a un certo “automatismo” del sistema biomedico.”, Roberto Mordacci, Preside Facoltà di filosofia Università Vita-Salute San Raffaele, in il Sole 24 ore Sanità , 19-25 dicembre 2017).

La legge non sancisce nessun diritto a morire


In questo nuovo modo di concepire il rapporto di cura si colloca il “dottor Google”. Questo nuovo laureato pluridecorato deve essere gestito e non ignorato. La vita media si è allungata, la tecnologia e il progresso portano i più a ritenere che si possa vivere per sempre. La paura e il dolore portano alla frenetica ricerca di una diagnosi veloce. La pazienza scompare dinanzi al dolore, e anche un minuto diviene una eternità. Questa è la realtà, possiamo subirla passivamente o gestirla trasformando il “dottor Google” da nemico in prezioso alleato. Come? Migliorando la comunicazione con il paziente e migliorando la qualità delle informazioni che vengono diffuse tramite internet. Un articolo o un contenuto letto sul web può far riflettere su sintomi che senza quelle informazioni sarebbero stati sottovalutati. Ogni strumento ha i propri lati negativi, che vanno gestiti senza limitarsi a dire “sono tutti laureati i medicina”.

La comunicazione è tempo di cura (Art.1 co.8)
Questa frase dell’art. 1 della legge sulle Dat non è una dichiarazione di principio, ma è un monito importante. Saper comunicare significa porsi il più possibile ad un livello comunicativo diverso dal proprio. Il paziente non è un lattante non in grado di comprendere, ma è una persona alla quale si deve spiegare perché si ritiene quella opzione la migliore possibile nella situazione attuale. A queste condizioni, al personale sanitario non verrà attribuita nessuna responsabilità civile o penale per aver omesso un trattamento che il paziente ha consapevolmente rifiutato. (Art.1 comma 6)
Quanto detto si espone ad una osservazione decisamente corretta: la relazione di cura è resa difficile dalla frammentarietà del rapporto con il personale sanitario. Il medico visita il paziente per una determinato problema e non ha quasi mai una visione di insieme.
A questa osservazione risponde la giurisprudenza di Cassazione con tre importanti sentenze sulla responsabilità civile sanitaria.

Cassazione civile, sentenza n. 26518/2017

• Va escluso, in base al principio cuius commoda, eius et incommoda, che un nosocomio possa rispondere dell’operato di personale della cui competenza non si avvale (leggasi ginecologo privato della paziente).
• Nemmeno la più lata interpretazione dell’art. 1374 potrebbe condurre ad affermare che, richiesto un esame diagnostico, il personale sanitario che lo esegue assuma l’obbligo di sostituirsi al medico curante, già scelto dal paziente, assumendosene tutti gli obblighi e gli oneri.
• Il massimo esigibile dal medico o dalla struttura specialistica chiamati ad eseguire un esame diagnostico, oltre il dovere di eseguire quest’ultimo con diligenza, è l’obbligo di informare il paziente circa l’emergere di sintomi o dubbi allarmanti.

Cassazione Civile sentenza n°18392/2017
La struttura è esente dall’obbligo di risarcire il paziente se prova o di aver correttamente adempiuto all’obbligo dedotto nella prestazione sanitaria oppure che il mancato adempimento è a sè non imputabile (cioè che è colpa di qualcun altro…). La struttura sanitaria dovrà, quindi, provare di aver adempiuto per quanto era possibile ed esigibile allo stato dell’arte. Se fosse in grado di fornire la prova della non imputabilità, l’evento dannoso verrebbe ad essere ascritto nel novero delle complicanze inevitabili, imprevedibili ed imprevenibili. Resta inteso che la c.d. causa incognita (cioè la mancata prova del nesso) resterebbe a carico della struttura.
Il paragrafo 2.1.2 della Cassazione n°18932/2017 afferma esplicitamente che la diligenza di cui all’art. 1176 rappresenta il parametro tecnico per valutare se c’è stato l’adempimento; ciò significa che se c’è stata diligenza non si deve indagare altro, poiché non c’è stato un inadempimento alla prestazione.

Cassazione civile, 7 dicembre 2017, n. 29315

La Cassazione, in continuità con la sentenza n° 18392 ribadisce che, nei giudizi risarcitori, la condotta colposa del responsabile e il nesso eziologico tra questa e il danno costituiscono oggetto di due accertamenti concettualmente distinti e la previsione dell’art. 1218 c.c. solleva il creditore solamente dall’onere di provare la colpa del debitore e non anche il nesso di causalità.

Il 2017 si è concluso con la pronuncia a Sezioni Unite sulla nuova responsabilità penale introdotta dall’art. della legge Gelli. In attesa della sentenza integrale, dall’informativa sommaria divulgata dalla Cassazione si legge che: il personale sanitario risponde penalmente senza limitazioni di responsabilità per negligenza o imprudenza

(risponde sia per colpa lieve che per colpa grave); e che il personale sanitario risponde penalmente per imperizia grave se ha scelto correttamente le linee guida o le buone pratiche da seguire, ma vi è stato un errore nella esecuzione della prestazione. La Cassazione introduce, per valutare la corretta esecuzione della prestazioni, il concetto del “grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico”. L’effettiva portata dell’inciso della Cassazione potrà essere valutata solo alla luce della pubblicazione delle motivazioni. Il personale sanitario risponde per imperizia, senza distinzione tra lieve e grave, se ha individuato male le linee guida o le buone pratiche da seguire; fermo restando l’obbligo di disattenderle qualora il caso concreto lo richieda, o qualora il caso non sia regolato da linee guida o buone pratiche. La Cassazione, quindi, ha reintrodotto, in via interpretativa, la distinzione tra colpa lieve e colpa grave con riferimento alla sola imperizia.

Da ultimo occorre ricordare la legge 124/2017 che introduce, tra i criteri per la definizione delle tabelle per il risarcimento delle lesione macro permanenti, il concetto di pieno risarcimento e di sostenibilità del sistema. La dottrina giuridica, ha infatti definito la salute come un diritto finanziariamente condizionato. In tale contesto, è importante ricordare che ogni risorsa sottratta alle cure, per l’erogazione di risarcimenti automatici, è una risorsa sottratta alla prevenzione e alla cura della collettività, che vuole mantenere un sistema sanitario universalistico.
Di questo sembra che tutto il mondo del diritto ne stia prendendo coscienza.
Tale nuova consapevolezza presuppone una nuova alleanza che vede le strutture maggiormente impegnate in una gestione del rischio virtuosa e non virtuale e il mondo del diritto impegnato a non considerare una struttura sanitaria come un salvadanaio cui attingere per alleviare problemi economici altrui.
Se leggiamo il 2017 nel suo complesso, ci sono i presupposti perché le nuove leggi siano utili a tutti e il nostro sistema passi dalla “Responsabilità Sanitaria alla Sanità Responsabile”. Il percorso non è terminato, la strada è lunga e non possiamo sperare di unire i puntini guardando avanti ma solo, alla fine, guardando indietro ricordandoci sempre che “Anche il primo passo fa parte del cammino” (I. Kant). Noi abbiamo gli strumenti; ora dobbiamo usarli per provare ad essere fortunati e costruire il nostro percorso come lo desideriamo: sicuro, equo e sostenibile, per mantenere l’onore e il privilegio di vivere in un paese che vanta un Sistema sanitario universale.
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