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Notizie dalla Liguria

Al privato la gestione degli ospedali pubblici disfunzionali

Intervista del Presidente nazionale Gabriele Pelissero pubblicata da Adnkronos Salute

Una proposta 'targata' sanità privata per una maggiore efficienza del sistema sanitario, destinata a far discutere. "Gli ospedali pubblici disfunzionali, che in un piano triennale le Regioni non riescono a risanare, siano affidati al privato per il rilancio". Lo afferma all'Adnkronos Salute Gabriele Pelissero che sottolinea: "Questa è la proposta di Aiop. Una proposta che richiede un confronto, certo. Ma la politica scelga chi eroga prestazioni a un prezzo più basso, salvaguardando la qualità". La costellazione delle aziende associate lungo la Penisola sta crescendo. "Registriamo con grandissima soddisfazione ogni mese 3-4 nuovi iscritti", spiega Pelissero, ricordando che oggi l'Aiop riunisce più di 500 strutture, "più del 90% del privato in Italia, con l'eccezione degli ospedali dipendenti da ordini religiosi". Non sono poche le sfide che la sanità italiana si trova ad affrontare in questi anni.

Verso il rinnovo dei CCNL AIOP

Negli ultimi giorni, importanti novità hanno riguardato il rinnovo del CCNL AIOP, di cui da ottobre 2016 sono stati aperti i tavoli delle trattative con le relative OO.SS. Anzitutto, la riunificazione della parte datoriale, dopo più di 10 anni, da parte di AIOP e di ARIS. Questa novità ha accelerato la dinamica dei rapporti sindacali. Ne abbiamo parlato con il capo della delegazione storica, Emmanuel Miraglia.
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Notizie Aiop Nazionale

La legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015
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La legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015

Si segnalano ordinanza n. 214 del 18 aprile 2019 il Tribunale di Bari e ordinanza del Tribunale di Roma datata 3 gennaio 2020

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Con le ordinanze in commento i giudici territoriali hanno rimesso alla Corte Costituzionale una questione concernente la legittimità dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act) nella parte in cui prevede, in capo al lavoratore che abbia subito un licenziamento viziato da irregolarità derivanti dalla violazione del vincolo di motivazione di cui all’art. 2, comma 2 della l. n. 604 del 1966 o della procedura prevista all’art. 7 della legge n. 300 del 1970, il diritto a un’indennità “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.
Nei giudizi di merito, i giudici, pur rilevando la validità e legittimità del licenziamento dal punto di vista sostanziale, accoglievano la critica mossa dai lavoratori circa la sussistenza di violazioni formali.
I Tribunali, dunque, ritenendo applicabile la fattispecie prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015, da una parte, accertavano la responsabilità in capo al datore di lavoro e, dall’altra, rimettevano alla Corte costituzionale la questione avente ad oggetto il criterio di quantificazione dell’indennizzo che la predetta norma dispone.
In particolare, il Giudice barese constatava l’opportunità di assoggettare il computo dell’indennizzo non già al citato art. 4, che prevede il criterio rigido e predeterminato dell’anzianità di servizio, bensì ai parametri ravvisabili nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 e nell’art. 18, comma 6 St. Lav. che disegnano un regime più favorevole al lavoratore, stante la previsione in queste disposizioni di ulteriori e più flessibili principi cui ricollegare la quantificazione - come determinati dalla nota Sentenza n. 194 del 2018 della Consulta - quali il “numero di dipendenti occupati“, le “dimensioni dell’attività economica“, il “comportamento e le condizioni delle parti“, posti in relazione con la “gravità della violazione formale o procedurale posta in essere dal datore di lavoro“.
Ed infatti, a parere del giudice rimettente le ragioni che hanno comportato l’emissione della predetta Sentenza di incostituzionalità parziale dell’art. 3 (vizi di merito), si dovrebbero traslare anche all’art. 4 (vizi di forma).
Tale circostanza sarebbe, in tesi, altresì confermata dalla pressoché totale uniformità del dato letterale delle due disposizioni, con l’effetto di ritenere l’attuale assetto normativo in aperto contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. e il principio di ragionevolezza.
Unica discrepanza tra le due ordinanze è costituita dal maggior vigore con cui Il Tribunale di Roma ha sostenuto la natura sostanziale del diritto sotteso alla violazione delle norme che sovrintendono alle procedure di licenziamento.
Tale argomentazione del Giudice romano, ci offre l’opportunità di evidenziare che i due regimi sanzionatori, disciplinano due fattispecie completamente diverse essendo l’art. 3 posto a tutela del lavoratore a fronte di un licenziamento illegittimo e, di contro, l’art. 4 volto a sanzionare un licenziamento legittimo, ancorché viziato da errori procedimentali-formali.
Tuttavia, la questione è stata così rimessa alla Consulta, la quale dovrà valutare se anche l’interesse tutelato dall’art. 4 del d.lgs. n. 23/2015 richieda il calcolo della relativa indennità in base a criteri non automaticamente collegati all’anzianità.
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