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Notizie dalla Liguria

Al privato la gestione degli ospedali pubblici disfunzionali

Intervista del Presidente nazionale Gabriele Pelissero pubblicata da Adnkronos Salute

Una proposta 'targata' sanità privata per una maggiore efficienza del sistema sanitario, destinata a far discutere. "Gli ospedali pubblici disfunzionali, che in un piano triennale le Regioni non riescono a risanare, siano affidati al privato per il rilancio". Lo afferma all'Adnkronos Salute Gabriele Pelissero che sottolinea: "Questa è la proposta di Aiop. Una proposta che richiede un confronto, certo. Ma la politica scelga chi eroga prestazioni a un prezzo più basso, salvaguardando la qualità". La costellazione delle aziende associate lungo la Penisola sta crescendo. "Registriamo con grandissima soddisfazione ogni mese 3-4 nuovi iscritti", spiega Pelissero, ricordando che oggi l'Aiop riunisce più di 500 strutture, "più del 90% del privato in Italia, con l'eccezione degli ospedali dipendenti da ordini religiosi". Non sono poche le sfide che la sanità italiana si trova ad affrontare in questi anni.

Verso il rinnovo dei CCNL AIOP

Negli ultimi giorni, importanti novità hanno riguardato il rinnovo del CCNL AIOP, di cui da ottobre 2016 sono stati aperti i tavoli delle trattative con le relative OO.SS. Anzitutto, la riunificazione della parte datoriale, dopo più di 10 anni, da parte di AIOP e di ARIS. Questa novità ha accelerato la dinamica dei rapporti sindacali. Ne abbiamo parlato con il capo della delegazione storica, Emmanuel Miraglia.
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Notizie Aiop Nazionale

Il licenziamento disciplinare e il ruolo del CCNL applicato in azienda
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Il licenziamento disciplinare e il ruolo del CCNL applicato in azienda

Cass. Sez. Lav. 3 dicembre 2019, n. 31529 e Cass. Sez. Lav. 5 dicembre 2019, n. 31839

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Con le sentenze in commento (), la Cassazione si è occupata del ruolo della contrattazione collettiva nella definizione delle condotte che possono giustificare il licenziamento disciplinare, richiamando la nota distinzione tra “

fatto materiale” o “fatto giuridico”.
Per ben comprendere le decisioni della Corte si deve ricordare che la Legge Fornero, in riforma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, aveva limitato la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato, ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”.

La locuzione “insussistenza del fatto contestato” aveva dato luogo a diverse interpretazioni sino a giungere all’elaborazione di due contrapposte teorie: da un lato, la teoria del “fatto materiale”, in base alla quale la reintegrazione va circoscritta all’ipotesi d’insussistenza del solo fatto materiale contestato, dall’altro, quella del “fatto giuridico”, secondo cui, ai fini della reintegrazione nel posto di lavoro, è necessario considerare non solo la sussistenza del fatto storico materialmente commesso dal lavoratore, ma anche la rilevanza disciplinare e giuridica del fatto.
Con il Jobs Act, il legislatore ha abbracciato la teoria del “fatto materiale”, precisando come il giudice dovesse disporre la reintegrazione “esclusivamente nelle ipotesi … in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” (articolo 3, comma 2, Dlgs 23/15).

In altre parole, il legislatore del 2015, in tema di licenziamento disciplinare, ha espressamente escluso il vaglio di proporzionalità del giudice, il quale, una volta accertato che il lavoratore abbia posto in essere il fatto oggetto di contestazione disciplinare, non può disporre la reintegra, ma, ove ne ricorrano i presupposti, esclusivamente una tutela risarcitoria.
Tuttavia, nonostante la lettera della norma, parte della Giurisprudenza aveva ritenuto di continuare ad operare un controllo riguardo la proporzionalità tra la sanzione espulsiva irrogata da parte datoriale e la condotta tenuta da un lavoratore (si veda Informaiop n. 312). Recentemente, ad opera della giurisprudenza della Suprema Corte, si sta delineando una diversa interpretazione delle predette norme che tende a conferire una posizione centrale alle previsioni del contratto collettivo applicato in azienda. Ed invero, a parere della Cassazione, essendo - come detto - l’accesso alla tutela reale divenuta eccezionale, la valutazione di proporzionalità che i giudicanti devono operare ai fini della legittimità del licenziamento è relativa alla sanzione erogata e il fatto contestato come eventualmente tipizzato dalla contrattazione collettiva.

Infatti, laddove, il CCNL preveda una sanzione conservativa per una determinata condotta disciplinare, ben può il giudice, investito del ricorso del lavoratore, dichiarare illegittimo il licenziamento irrogato e disporre la reintegra del dipendente; di contro, ove il CCNL non prenda in esame la condotta oggetto di procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità spetta integralmente al giudice, il quale, tuttavia, ove ritenga illegittimo il licenziamento, potrà disporre esclusivamente la tutela indennitaria di cui all'art. 18, comma 5 della L. n. 300 del 1970. Sulla scorta del predetto principio, la Suprema Corte, disattendendo le istanze del lavoratore, ha all’uopo evidenziato come non si verta in un caso di una disparità di trattamento - connessa alla tipizzazione o meno operata dalle parti collettive delle condotte di rilievo disciplinare - bensì nell’espressione di una libera scelta del legislatore, fondata sulla valorizzazione dell'autonomia collettiva in materia.

Così gli Ermellini, nel confermare la Sentenza impugnata, hanno ritenuto che “Il giudice di merito, esclusa la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, ha correttamente svolto, al fine di individuare la tutela applicabile, l'ulteriore disamina sulla sussistenza o meno di una delle due condizioni previste dal comma 4 dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 per accedere alla tutela reintegratoria … in quanto, in assenza di tali requisiti, va applicato il regime dettato dal comma 5, da ritenersi espressione della volontà del legislatore di attribuire alla cd. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale” (Nella pronuncia Cass. n 31529 del 2019).

In conclusione, quindi, qualora vi sia sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria ex art. 18 cit., comma 5, se la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa. Di pari tenore, risulta essere la Sentenza n. 31839 del 2019, che, nel condurre ad una analisi non dissimile rispetto quanto già detto, offre alcuni spunti di riflessione particolarmente rilevanti con riferimento al CCNL AIOP. Ed infatti, il Giudice di legittimità ha espressamente statuito che, ove alla mancanza sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti, a meno che non si accerti che le parti stesse “non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva”, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di gravità di quel peculiare comportamento, come gradazione dell’illecito disciplinare, compiuta dall'autonomia collettiva. Si deve all’uopo ricordare che l’art. 41 del CCNL Aiop, nell’elencare una serie di condotta sanzionabili da parte datoriale con sanzioni conservative, prevede espressamente la possibilità di procedere al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo “nei casi previsti capoverso precedente qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità”.

Alla luce di quanto sopra, si deve evidenziare che, avendo il CCNL AIOP espressamente inteso prevedere la possibilità di una sanzione espulsiva per i casi di maggiore gravità, i giudici non potrebbero, in linea generale, valutare un determinato comportamento come illecito disciplinare di grado inferiore, avendo l'autonomia collettiva compiuto una specifica graduazione delle mancanze disciplinari.
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