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Notizie dalla Liguria

L'eco sulla stampa dell'appello Aiop rivolto a Matteo Renzi e a Beatrice Lorenzin

A seguito dell'invio del comunicato stampa che riportava la posizione espressa dal Presidente nazionale, Gabriele Pelissero, in merito alla proposta avanzata dalle Regioni che conterrebbe un taglio di 350 milioni di euro all'ospedalità privata accreditata, vi riportiamo di seguito la raccolta di tutti gli articoli usciti sino ad oggi sulle principali testate nazionali e regionali e suoi principali siti online.

Caso Avastin. Per l'Antitrust "è discriminatorio escludere i centri privati da somministrazione"

L'AGCM ha sollevato criticità concorrenziali

Permettere l'utilizzo del farmaco Avastin per la cura delle patologie visive solo alle strutture pubbliche, ma non a quelle private dà luogo ad "una ingiustificata discriminazione tra strutture pubbliche e private". Lo mette nero su bianco l'Antitrust, che nell'ultimo bollettino bacchetta l'Aifa e prende nuovamente posizione su una vicenda, quella di Avastin e Lucentis, che negli ultimi due anni è salita più volte agli onori delle cronache, soprattutto dopo la maxi multa comminata proprio dall'Autorità garante della concorrenza ai due colossi farmaceutici La Roche e Novartis per aver fatto cartello per ostacolare la vendita del farmaco antitumorale Avastin per la cura della vista, favorendo invece quella di Lucentis, che costa 10 volte tanto.

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Notizie Aiop Nazionale

Quando il datore di lavoro è legittimato ad istallare telecamere nascoste
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Quando il datore di lavoro è legittimato ad istallare telecamere nascoste

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Sentenza del 17 ottobre 2019 sui ricorsi 1874/13 e 8567/13

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale

La sentenza in commento prende le mosse dalla scoperta da parte di un datore di lavoro, gestore di un supermercato, di una serie di discrepanze tra il livello delle scorte di magazzino e gli incassi di fine giornata per un valore di circa € 82.000,00. Sospettando che ciò dipendesse da illecite condotte appropriative di beni e/o denaro aziendale poste in essere da uno o più dipendenti, provvedeva ad installare all’interno del negozio dei dispositivi di videoripresa.
In particolare, il datore di lavoro collocava alcune videocamere, in posizione ben visibile, a sorveglianza dei varchi d’uscita e optava per posizionarne altre, all’insaputa dei lavoratori, in posizione utile alla sorveglianza generalizzata ed indistinta di tutto il personale di volta in volta addetto al bancone di cassa. Il tutto avveniva nonostante il codice per la protezione dei dati personali spagnolo imponga, senza apparenti deroghe, l’obbligo di darne comunicazione ai lavoratori in modo chiaro ed esauriente, nonché l’obbligo di compiuta informazione circa le modalità di trattamento dei dati personali acquisiti con tale mezzo.
Tuttavia, grazie ai filmati così ottenuti, venivano individuati e licenziati i responsabili delle accertate sottrazioni, i quali adivano le corti nazionali lamentando la lesione del proprio diritto alla privacy nonché, sotto il profilo processuale, la violazione del diritto di difesa asseritamente cagionata dall’utilizzazione in giudizio dei dati occultamente carpiti quali prova a loro carico.
Le corti nazionali spagnole rigettavano ogni domanda ritenendo che la condotta datoriale denunziata, considerate le circostanze del caso, fosse da reputarsi lecita e proporzionata all’entità dei fatti posti a giustificazione dei licenziamenti: sia in quanto imposta dalla necessità di assicurare adeguata protezione ai diritti patrimoniali del datore di lavoro, sia in quanto l’unica in grado di preservare l’interesse alla conservazione del patrimonio aziendale comportando al contempo il minor sacrificio possibile dei diritti dei lavoratori destinatari dell’attività di sorveglianza.
Si deve rilevare come l’approccio seguito dai giudici spagnoli ricordi il non dissimile percorso giurisprudenziale che in Italia ha condotto all’elaborazione della teoria dei c.d. controlli difensivi, con cui la Suprema Corte ha creato un’area essenzialmente immune ai vincoli di legittimità imposti dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Ed infatti, i c.d. controlli difensivi comprendono le attività di sorveglianza a distanza, quali ad esempio il monitoraggio degli accessi alla rete Internet o del sistema di posta elettronica aziendale, poste in essere per mezzo di strumenti tecnologici non allo scopo di verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dei lavoratori - in quanto tale tradizionalmente vietato dalla formulazione letterale dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori - bensì al fine di accertare la commissione di condotte illecite lesive del patrimonio aziendale. (Sul punto si vedano in particolare Cass. n. 4746 del 3 aprile 2002; Cass. n. 10955 del 27 maggio 2015).
Analogamente nel caso in commento i giudici nazionali giudicavano la condotta datoriale legittima nonostante la legge spagnola non prevedesse alcun esplicito esonero dall’adempimento dell’obbligo di offrire ai lavoratori sottoposti a controllo una compiuta informazione preventiva.
I lavoratori adivano la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, i quali, tuttavia, rilevavano come i giudici spagnoli avessero “attentamente bilanciato” i diritti dei dipendenti sospettati di furto e quelli del datore di lavoro, effettuando un esame approfondito delle ragioni della videosorveglianza e come la mancata notifica preventiva della sorveglianza fosse da ritenersi giustificata dal “ragionevole sospetto” di una grave colpa dei cassieri e dall'entità della perdita economica subita dal supermercato a causa dei furti.
Pertanto, la Corte Europea ha ritenuto il monitoraggio “proporzionato e legittimo” e l'intrusione nella privacy dei ricorrenti non eccessivamente grave (anche alla luce della sua breve durata - 10 giorni - e il numero limitato delle persone messe a conoscenza dei video). Secondo la Corte di Strasburgo è risultata decisiva anche la scarsa estensione dell'area sorvegliata, limitata alla zona casse.
La linea della Cedu è condivisa dal Garante italiano della Privacy, che in una nota sottolinea come la sentenza “da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall'altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo”. Per il via libera alla videosorveglianza occulta la Corte di Strasburgo ha infatti accertato una serie di presupposti, come i “fondati e ragionevoli sospetti” sui furti commessi dai lavoratori, nonché il danno ingente subito dal datore di lavoro. La videosorveglianza “occulta”, commenta il Garante, “è dunque, ammessa solo in quanto extrema ratio … con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l'incidenza del controllo sul lavoratore”, e non può in nessun caso “diventare una prassi ordinaria”.
In altre parole, requisito essenziale perché i controlli sul lavoro siano legittimi, conclude il Garante, resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza, che si confermano ancora una volta i capisaldi della protezione dei dati personali.
Tuttavia, dal punto di vista giuslavoristico e sull’evidente contrarietà all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, occorre fare alcune precisazioni. Ed invero, nonostante la pacifica superiorità della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo alla legge italiana atteso il recepimento nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, un eventuale contrasto non può essere risolto dal giudice di merito mediante la disapplicazione della norma interna, ma occorrerà un vaglio della Corte Costituzionale.
In conclusione, al fine di valutare la liceità dell’istallazione di telecamere occulte a tutela del patrimonio aziendale a fronte del fondato timore di una condotta appropriativa illecita da parte dei dipendenti e, pertanto, la riconducibilità dell’operazione ai c.d. controlli difensivi, occorrerà attendere una pronuncia in tal senso da parte della Corte Costituzionale che, alla stregua dei principi contenuti della Convenzione così come declinati dalla Corte Europea nella sentenza in commento, dovrebbe dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 4 dello Statuto, nella parte in cui non prevede la possibilità di attuare un controllo preventivo senza informare i lavoratori e le OO.SS..
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