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Il blocco dei licenziamenti collettivi ed individuali
Art. 46 del DL n. 18 del 17 marzo 2020
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
Con il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 il Governo è intervenuto al fine di fronteggiare le esigenze sanitarie e socio-economiche derivanti dall’emergenza epidemiologica COVID-19.
Per quanto ivi rileva, con l’art. 46, rubricato “misure urgenti per contrastare l’emergenza Coronavirus - Covid-19”, è stato posto il divieto per tutti i datori di lavoro, a far data dal 17 marzo 2020, e per i successivi 60 giorni, di attivare di procedure di licenziamento collettivo ai sensi degli art. 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991; nonché è stato impedito l’accesso alle procedure per i licenziamenti individuali, per ragioni economiche ex art. 3 della L. n. 604/1966. Le procedure collettive attivate successivamente al 23 febbraio 2020 sono anch’esse sospese per i 60 giorni successivi all’entrata in vigore del Decreto Legge.
Per quanto concerne le risoluzioni di parte datoriale per giustificato motivo oggettivo, ovvero i licenziamenti intimati “per ragioni inerenti l’attività produttiva” o per “ragioni inerenti il regolare funzionamento della stessa”, il divieto si pone in continuità con la strategia adottata dal Governo, volta a salvaguardare i livelli occupazionali, evitando tutte le forme di risoluzione legate all’attuale stato di emergenza, restando salva la possibilità per parte datoriale di procedere al licenziamento per motivazioni che esulano dall’attuale contesto pandemico.
Alla stregua di quanto sopra, il divieto non opera né per i licenziamenti per giusta causa, ovvero quando il lavoratore pone in essere delle condotte tali da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto di lavoro essendo reciso il vincolo fiduciario, né per i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare che comportano il rispetto della procedura di contestazione e di difesa formulata dall’art. 7 della legge n. 300/1970 e dal CCNL.
Parimenti pare possibile irrogare i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia, atteso che per la eventuale prosecuzione fino al limite dei settanta anni occorre il consenso del datore di lavoro (come ricordato dalle sezioni unite della cassazione con la decisione n. 17589 del 4 settembre 2015) e o i licenziamenti per la fruizione del pensionamento per la cd. “quota 100”.
Quanto ai licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto, disciplinati dall’art. 2110 c.c., si deve all’uopo evidenziare che la giurisprudenza ritiene che tale istituto costituisca una fattispecie autonoma e non riconducibile al giustificato motivo oggettivo (come anche recentemente ribadito dalla Cassazione con la Sentenza n. 2527 del 04.02.2020, nonché dalla Corte d’Appello di Milano del 17 settembre 2019, secondo cui “Il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di recesso diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all'art. 2119 c.c. e alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3”), di tal che pare possibile comminare tale licenziamento. Ed invero, non si può sottacere come il legislatore al co. 7 dell’art. 7 della legge n. 604/1966 che riguarda la procedura per il tentativo obbligatorio di conciliazione nei casi in cui il datore di lavoro intenda procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, escluda, espressamente, da tale tentativo, i licenziamenti per superamento del periodo di comporto.
Tuttavia, sul punto deve evidenziarsi come vi sia giurisprudenza, seppur minoritaria, che inserisce il licenziamento per superamento del comporto nell’ambito del giustificato motivo oggettivo (v. Cass. n. 284/17).
Pertanto, l’articolato si pone in continuità con la strategia adottata dal Governo, volta a salvaguardare i livelli occupazionali, limitando i licenziamenti che possono trovare la loro causa nell’attuale condizione di difficoltà, escludendo quindi tutte le fattispecie riconducibili alle condotte del lavoratore.