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Jobs Act. Incostituzionale il criterio di indennizzo per il licenziamento
Comunicato della Corte Costituzionale del 26 settembre 2018
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale
In data 26 settembre 2018, la Corte Costituzionale ha diffuso un comunicato con cui ha annunciato di aver dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 (cd. Jobs Act) sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte in cui "determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio".
Il giudizio di costituzionalità è stato avviato dal Tribunale di Roma, nel 2017, il quale ha rimesso alla Corte Costituzionale la disciplina del contratto a tutele crescenti, per contrasto con gli articoli 3, 4, 76 e 117 della Costituzione. In particolare, secondo il Tribunale capitolino, sarebbe del tutto contrario al principio di ragionevolezza e di uguaglianza prevedere che l’unico criterio in base al quale determinare la somma da erogare al dipendente licenziato illegittimamente sia l’anzianità di servizio.
Inoltre, il Jobs Act, sempre secondo il Tribunale di Roma, introdurrebbe anche una discriminazione ingiusta tra assunti prima del 7 marzo 2015, che possono ancora avere accesso alla tutela dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ed assunti dopo il 7 marzo 2015 che, per il solo fatto della data di assunzione, si ritrovano con una tutela ampiamente ridotta in caso di licenziamento illegittimo.
La Consulta, accogliendo le cennate doglianze, ha ritenuto tale disciplina contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione.
All’uopo rammentiamo che il Jobs act ha stabilito come calcolare le indennità in caso di licenziamento illegittimo: "Il giudice ... condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità". In pratica, per il lavoratore licenziato in maniera ingiusta il Jobs act aveva previsto un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità di servizio. Il tutto, entro un limite minimo (quattro mesi di stipendio) e massimo (ventiquattro mesi).
La declaratoria di incostituzionalità non ha risparmiato nemmeno le recenti modifiche apportate dal decreto dignità che - lo ricordiamo - aveva aumentato quantitativamente l'indennità prevista (da 4 - 24 a 6 - 36), ma aveva conservato la parametrazione della stessa esclusivamente in base l'anzianità di servizio.
In altre parole, la Consulta ha chiarito che, alla luce dei principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza, non è possibile predeterminare rigidamente l'indennità spettante ad un lavoratore ingiustificatamente licenziato esclusivamente sull'anzianità si servizio.
Per meglio comprendere la portata della pronuncia è tuttavia certamente necessario attendere sentenza e motivazioni, la quale avrà certamente un impatto molto significativo sul mercato, reintroducendo in misura tutta da verificare la discrezionalità del giudice e di conseguenza incertezza nella previsione dei rischi legati alla legittimità del licenziamento.
Se detta interpretazione verrà confermata, i datori di lavoro, quindi, non potranno più prevedere con esattezza il costo del licenziamento di un loro dipendente sulla base della sua anzianità.
E così, ad una persona assunta da poco tempo potrebbe spettare un indennizzo molto alto se il giudice ritenesse il licenziamento particolarmente ingiustificato, mentre un dipendente di lungo corso potrebbe ricevere un indennizzo più basso rispetto a quanto riceverebbe oggi nel caso in cui il licenziamento dovesse risultare almeno in parte giustificato.
Per conoscere i dettagli della decisione e comprenderne meglio le conseguenze bisognerà – come detto - attendere la pubblicazione della sentenza, oppure ulteriori precisazioni della Corte, la quale potrebbe anche formulare un invito al Parlamento, affinché adatti l’attuale normativa alla sentenza.