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Un padre di famiglia licenziato per abuso del congedo parentale
Corte di Cassazione Sezione Lavoro n. 509 dell’11 gennaio 2018
Sonia Gallozzi, Consulente giulavorista della Sede nazionale
La pronuncia oggi esaminata affronta il caso di un dipendente licenziato per giusta causa per aver questi utilizzato la metà del tempo concessogli a titolo di permesso parentale per questioni non attinenti al soddisfacimento dei bisogni affettivi e relazionali del figlio ex art. 32 d.lgs. n. 151/2001.
La Corte d’Appello dell’Aquila confermava la pronuncia del Giudice di prime cure con cui veniva ritenuto legittimo il licenziamento. Avverso la sentenza della Corte distrettuale il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione denunciando, tra i vari motivi, la valutazione effettuata dal Giudice sulla correttezza dell’utilizzo del congedo parentale.
Ed infatti, secondo il lavoratore, nel Testo unico maternità e paternità (Dlgs 151/2001) “non v'è traccia della necessità che il congedo sia gestito garantendo al minore una presenza “prevalente”, ovvero caratterizzata da continuità ed esclusività”, trattandosi - diversamente dai permessi per l'assistenza ai disabili ex lege n. 104/92 - di un istituto mirante “al soddisfacimento dei bisogni affettivi e relazionali del figlio”.
La Suprema Corte, non aderendo all’interpretazione fornita dal ricorrente e richiamando – per converso - numerosi precedenti giurisprudenziali, ha ricordato in primis che nonostante l'Istituto sia qualificato come diritto potestativo, ciò non significa che esso possa essere esercitato a piacimento e senza controlli, ben potendosi configurare un abuso “allorché il diritto venga esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di lavoro, ancorché incidente positivamente sulla organizzazione economica e sociale della famiglia; ma analogo ragionamento può essere sviluppato anche nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio in cui il genitore trascuri la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività che non sia in diretta relazione con detta cura, perché ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore”.
Sul punto, la Cassazione (n. 16207/2008) ha infatti già chiarito che “una siffatta conversione delle ore di lavoro, se pure non deve essere intesa alla stregua di una rigida sovrapponibilità temporale, non può però ammettere un'accudienza soltanto indiretta, per interposta persona, mediante il solo contributo ad una migliore organizzazione della vita familiare”.
Ove dunque, secondo la Corte, si configuri un abuso per sviamento dalla funzione propria del diritto, il datore di lavoro viene “privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione dell'affidamento da lui riposto nel medesimo”, oltre a configurarsi una “indebita percezione dell'indennità” in capo al lavoratore e “lo sviamento dell'intervento assistenziale nei confronti dell'ente di previdenza”.
Alla stregua delle esposte motivazioni, i Giudici di legittimità hanno quindi confermato la pronuncia di secondo grado, ritenendo pienamente legittimo l’operato licenziamento.