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Sanzione conservativa: può il giudice che la ritiene sproporzionata rimodularne la misura?
Cassazione - ordinanza 15 maggio 2024 n. 13479, sez. lav.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale
La pronuncia in oggetto affronta il caso di una lavoratrice cui era stata comminata la sanzione conservativa di cinque giorni di sospensione, che veniva dalla stessa giudizialmente impugnata.
Il Tribunale di Grosseto riteneva sussistenti le violazioni contestate, ma giudicava la sanzione applicata non corretta e proporzionata rispetto ai fatti contestati, riducendola da cinque a due giorni di sospensione. La Corte d'appello di Firenze, di contro, pur confermando l'illegittimità della sanzione originariamente applicata dalla società perché sproporzionata rispetto alla gravità del fatto contestato, aderiva all’orientamento secondo il quale era comunque preclusa al giudice del lavoro la rimodulazione della sanzione, benché fosse stata richiesta dallo stesso datore di lavoro, e annullava la sanzione applicata dal Tribunale. Avverso tale decisione la società proponeva ricorso per cassazione.
La Suprema Corte riteneva infondato il ricorso, richiamando il principio secondo cui il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell'illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell'impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost, per cui è riservato esclusivamente al titolare di esso; conseguendo che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della sanzione stessa, riducendone la misura.
La Corte ha quindi sancito che sono solamente due le ipotesi in cui il giudice può esercitare tale facoltà: - quando il datore di lavoro ha irrogato una sanzione conservativa che supera il massimo edittale (che, salve disposizioni più favorevoli del CCNL applicato al rapporto, ai sensi di quanto prescritto dall’art. 7 L. n. 300/1970 è fissato in quattro ore di retribuzione per la multa e dieci giorni per la sospensione disciplinare); -quando è il datore di lavoro che, nel costituirsi nel giudizio di annullamento della sanzione introdotto dal lavoratore, ne chiede esplicitamente la riduzione, anche se in via subordinata; ciò perché “in tal modo non è sottratta autonomia all’imprenditore e si realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima”.
Ebbene, nel caso in esame, la datrice di lavoro aveva demandato al giudice non solo una valutazione discrezionale di proporzionalità tra condotta e sanzione da irrogare, ma, anche in concreto, la scelta della misura disciplinare da adottare. Invero, in chiave alternativa alla mera conferma della legittimità della sanzione come individuata nella natura e determinata nel quantum (in giorni), la società si era rimessa ad una valutazione "di giustizia" da parte del giudice adito, facendo generico riferimento a plurime disposizioni del CCNL di riferimento, senza specificare affatto tipo ed entità della diversa sanzione in ipotesi applicabile, sollecitando, dunque, l'esercizio del potere disciplinare precluso al giudice, chiamato a decidere della legittimità o meno della sanzione applicata.
Per tali motivi il ricorso veniva respinto.