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Obbligo di repêchage e inidoneità fisica
Corte di Cassazione, Sez. Lavoro Sentenza n. 18556 del 10.07.2019
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul controverso tema del contenuto dell’obbligo di repêchage sussistente in capo all’azienda a fronte dell’inidoneità fisica di un lavoratore. Ed invero, le Società, di sovente, trovano difficoltà nel ricollocare all’interno del proprio organico dei lavoratori con una inidoneità fisica sopravvenuta che non permette più agli stessi di effettuare le mansioni per le quali erano stati assunti. Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione era relativo al licenziamento di un dipendente riconosciuto permanentemente inidoneo a prestare servizio nel reparto di provenienza e in quasi tutti gli altri reparti aziendali, ad eccezione di un unico settore nel quale, astrattamente, avrebbe potuto intervenire la prosecuzione del rapporto a fronte di una diversa organizzazione del lavoro. In primo grado, il licenziamento era stato dichiarato illegittimo proprio sul presupposto che, a fronte di una diversa organizzazione del lavoro nel reparto aziendale, la mansione del dipendente parzialmente inidoneo poteva essere ancora proficuamente utilizzata. La Corte d'appello di Torino riformava la decisione sul presupposto che la riorganizzazione interna del reparto costituiva indebita ingerenza rispetto al principio della libertà di iniziativa economica costituzionalmente protetto. La Cassazione, adita sul punto, ha sancito che il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica è da considerare legittimo non solo se non vi siano posizioni alternative nella organizzazione aziendale che sia possibile affidare al dipendente, ma anche nel caso in cui, pur essendo astrattamente possibile una nuova assegnazione, essa implicherebbe una modifica dell'organizzazione interna che risulti gravosa per l'impresa sul piano finanziario o che sia foriera di arrecare pregiudizio alla posizione di altri dipendenti. In altre parole, sebbene il datore di lavoro sia in ogni caso tenuto a verificare le possibilità di un ricollocamento interno di un dipendente divenuto inabile prima di procedere al licenziamento dello stesso, questo non è tenuto ad effettuare adattamenti organizzativi ove comportino un importante onere finanziario. Inoltre, specifica la Suprema Corte, la ricollocazione del dipendente in attività compatibili con la ridotta capacità lavorativa sopravvenuta, non deve incidere negativamente sulla posizione di lavoro occupata dagli altri dipendenti, comportando a carico di questi ultimi un aggravamento delle condizioni di lavoro. Pertanto, quand'anche gli adattamenti organizzativi cui l'impresa potrebbe predisporsi allo scopo di salvare il posto di lavoro del dipendente dovessero risultare possibili senza generare un particolare aggravio sul piano finanziario, non di meno essi non potrebbero costituire un obbligo se, per effetto della disposta riorganizzazione, altri dipendenti dell'impresa si trovassero a subire un pregiudizio sul piano professionale.