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Permessi 104: occorre valutare caso per caso l’entità della presunta violazione del lavoratore
Cass. Sez. Lav. ordinanza n. 12679 del 9 maggio 2024.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale
In un precedente numero abbiamo commentato la pronuncia della Cassazione n. 11999, depositata il 3 maggio 2024, con cui la Corte aveva rigettato il ricorso del dipendente volto alla declaratoria di illegittimità del recesso intimatogli per giusta causa dal suo datore di lavoro, che aveva scoperto che nei giorni in cui fruiva di permessi ex articolo 33 della legge 104/1992 si era dedicato ad attività per nulla attinenti con l’assistenza alla madre con disabilità, senza mai recarsi da lei se non per un tempo talmente limitato da risultare elusivo della stessa funzione dei permessi. Il licenziamento era stato ritenuto legittimo sul presupposto che sia il dato testuale, sia la ratio legis della legge “104”, confortano l’interpretazione secondo cui il permesso, che, occorre ricordare, è frazionabile anche in ore, debba corrispondere alle ore di lavoro non prestato, e che una diversa condotta integra violazione del principio di buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro (che non beneficia della prestazione), sia nei confronti dell’INPS (che materialmente ne eroga il corrispettivo), di talché, in ipotesi di insussistenza del nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un abuso del diritto. Pertanto, nella fattispecie, i giudici di legittimità avevano concluso che ove manchi del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un abuso del diritto da parte del prestatore, tale da legittimarne il licenziamento per giusta causa.
Di diverso tenore è invece la pronuncia oggi in commento (n. 12679), pubblicata a pochi giorni di distanza dalla precedente, con cui la Suprema Corte ha invece confermato l’illegittimità del recesso comminato per giusta causa ad un lavoratore che aveva accompagnato la moglie asmatica presso una località balneare, trascorrendo con lei al mare alcune giornate di permesso ex lege 104/1992 ed aveva altresì utilizzato parte dei permessi per portare il cane dal veterinario. Gli Ermellini, infatti, compiendo una valutazione unitaria dei fatti, hanno escluso il carattere abusivo di tali comportamenti, osservando, da un lato, che fosse notorio che il soggiorno al mare potesse portare giovamento ai pazienti asmatici; e dall’altro, che l’impiego di una frazione di tempo assai limitata rispetto alla durata complessiva del permesso per il trasporto del cane dal veterinario e l’accudimento dell’animale domestico che aveva comportato una diminuzione dell’aggravio delle attività destinate ad essere alternativamente svolte dal coniuge disabile, portasse ad escludere la rilevanza disciplinare della condotta ascritta al dipendente.
In buona sostanza, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione operata dalla Corte territoriale, la quale, effettuata “una valutazione circa il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del diritto”, aveva ritenuto di escludere l’illegittimità della condotta del lavoratore in ragione dell’”impiego di una frazione di tempo assai limitata rispetto alla durata complessiva del permesso per il trasporto del cane dal veterinario”. Confermava quindi la pronuncia di secondo grado, accogliendo ancora una volta le ragioni dell’ex dipendente.
Orbene, alla luce di un esame congiunto delle su riportate pronunce, si può pervenire alla conclusione che, per individuare il confine fra l’uso legittimo e l’abuso del diritto nella fruizione dei permessi ex legge 104/1992, occorra utilizzare come parametri l’entità e l’importanza della presunta violazione del lavoratore rispetto alla finalità, anche sociale, della norma, avendo sempre riguardo alla fattispecie concreta di volta in volta esaminata, non essendovi parametri univoci, ma essendo comunque rimessa la valutazione all’apprezzamento del giudice di merito.