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Notizie dalla Liguria

La scomparsa del Presidente Gustavo Sciachì

Presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000

Lo scorso 25 marzo si è spento l’avvocato Gustavo Sciachì, presidente nazionale Aiop dal 1985 al 2000. Un lungo tratto di strada che rende evidente la grande stima e la fiducia che l’Associazione ha risposto nella sua persona. La sua presidenza ha attraversato il tratto più lungo dei 50 anni della storia dell’Aiop, incidendo profondamente sullo sviluppo dell’Associazione, portandola ad acquisire soprattutto maggiore credibilità e forza nel confronto con le istituzioni regionali e nazionali.

Vietato curarsi negli ospedali migliori

Intervista al Presidente nazionale, Gabriele Pelissero, pubblicata su Il Giornale

«Stiamo scivolando verso una situazione inaccettabile - lancia l'allarme Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop -. Invece di migliorare il livello medio nelle regioni che più zoppicano, si vogliono introdurre filtri e blocchi contro le realtà all' avanguardia. E in questo modo, senza che l' opinione pubblica sia stata informata, si toglierà a migliaia di pazienti il potere di scegliere i centri più evoluti. Penso alle migliaia di persone che oggi puntano a Nord per farsi impiantare una protesi all' anca o al ginocchio».

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Notizie Aiop Nazionale

Il diritto di accesso nel procedimento disciplinare e il diritto di difesa
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Il diritto di accesso nel procedimento disciplinare e il diritto di difesa

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

Dall’entrata in vigore del D.lgs. 196/2003, così come emendato alla luce del Regolamento Ue 2016/679, la ponderazione tra il diritto di accesso agli atti di un dipendente sottoposto ad un procedimento disciplinare e il diritto alla privacy dei soggetti terzi coinvolti costituisce una delicata questione che è stata oggetto di diverse pronunce, apparentemente discordanti.
Ed invero, di sovente, le Aziende, hanno dovuto riscontrare le richieste dei dipendenti che, all’esito della comunicazione della contestazione disciplinare, chiedevano di estrarre copia dei reclami presentati da soggetti terzi, o di segnalazioni di altri lavoratori, al fine di poter esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.
A tal riguardo, giova rappresentare come, per giurisprudenza costante della Suprema Corte, il diritto di accesso agli atti debba essere garantito al lavoratore nel contesto di un procedimento disciplinare, il quale deve essere messo in condizione di prendere piena contezza dei fatti attinenti la propria posizione.
Tuttavia, si deve evidenziare come tale diritto, così come garantito dell’art. 15 del cennato regolamento europeo, da una parte, limiti l’informativa e l’accesso ai dati di cui il soggetto è titolare del trattamento e, dall’altra, al co. 5, sancisca che tale attività “non deve ledere i diritti e le libertà altrui” e, pertanto, tuteli la privacy dei soggetti contro interessati.
Al fine di comprendere quando il documento richiesto dal lavoratore, debba essere fornito, giova analizzare le pronunce in materia.
In primo luogo, si evidenzia come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7581 del 27 marzo 2018 abbia ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente a era stato negato da parte del datore di lavoro l’accesso ai documenti posti a base dell’addebito, necessari per il corretto esercizio del proprio diritto di difesa, essendo i fatti risalenti nel tempo e relativi a condotte sporadiche tali da impedire al lavoratore di ricordare i singoli episodi. La Corte ha affermato che, seppure l’art. 7 della Legge n. 300/1970 non preveda in capo al datore di lavoro l’obbligo di mettere a disposizione del lavoratore nei cui confronti sia stata elevata una contestazione disciplinare la documentazione su cui essa si basa, lo stesso “è tenuto ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali. Laddove l’esame degli stessi sia necessario al fine di permettere a controparte una adeguata difesa, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto”.
Inoltre, si segnala la Sentenza n. 3033 del 2011, con cui la Cassazione a Sezioni Unite ha espressamente sancito come il diritto di accesso ex art. 24 del D.Lgs. n. 196/2003 debba essere garantito al lavoratore a condizione che la produzione sia pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità.
Sempre la Cassazione, Sez. Lav. con la sentenza n. 7783/2014, ha affrontato la questione legata al conflitto tra interesse alla riservatezza dei dati personali e diritto di difesa in giudizio, con risvolto favorevole per il secondo contendente con precisa indicazione: l’abuso di protezione dei dati personali deve essere arginato. Una protezione eccessiva (ed ingiustificata), infatti, rischia - osserva la Corte - di ingolfare il sistema e di annacquare nell’indifferenziazione la tutela delle situazioni e degli interessi effettivamente meritevoli.
In estrema sintesi, posta la prevalenza del diritto di difesa sulla privacy, l’accesso agli atti dovrà essere garantito ove sia: a). necessario, ovvero l’accesso deve essere propedeutico a far valere un proprio diritto; b). non eccedente, cioè limitato a quanto necessario al legittimo ed equilibrato esercizio della propria difesa; c). libero, cioè non deve ledere i diritti e le libertà altrui.
Alla luce delle testé esposte argomentazioni, può ritenersi che trascrivere integralmente il contenuto del reclamo nella lettera di contestazione, emendato dai dati dei soggetti controinteressati, possa escludere il diritto di accesso del dipendente, anche attesa la possibilità del lavoratore di richiederne la verificazione in Tribunale, al fine di controllare la conformità di quanto riportato da parte datoriale, con riferimento a quanto dedotto nel reclamo.
Ed invero, ove il dipendente sia in grado di conoscere analiticamente i fatti oggetti di contestazione e il contenuto del reclamo presentato, l’accesso sarebbe ultroneo e non rispondente ai predetti principi di necessarietà, non eccedenza e libertà.
Pertanto, atteso che, in tali casi, nel prendere contezza dell’identità del soggetto reclamante verrebbe alla luce una lesione del diritto all’anonimato del controinteressato, pare potersi giustificare la contrazione del diritto del lavoratore.
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