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Notizie dalla Liguria

Professioni sanitarie. Firmato il decreto attuativo che istituisce i nuovi albi

Decreto attuativo della legge n. 3 del 2018

È stato firmato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin il primo decreto attuativo della legge n. 3 del 2018, meglio conosciuta come la legge che ha riformato il sistema ordinistico delle professioni sanitarie in Italia. Si tratta del decreto che istituisce gli albi delle 17 professioni sanitarie, fino ad oggi regolamentate e non ordinate, che entreranno a far parte dell’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Dalla privacy alla cybersecurity, le strutture cercano nuove figure

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana, in grado di tutelare la privacy e i dati sanitari dei pazienti, o difendere le strutture dai cyberattacchi informatici. La sanità sta cambiando volto, anche quella privata. "Con l'espansione del settore delle cure per gli anziani, negli ospedali e nelle Rsa queste figure tradizionali sono molto richieste. Ma accanto a loro vediamo anche emergere la domanda di professionalità nuove, con competenze trasversali". Parola del direttore generale di Aiop, Filippo Leonardi, che con l'Adnkronos Salute fa il punto sulle professioni più gettonate dalle aziende e dai gruppi del settore nel nostro Paese.
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Notizie Aiop Nazionale

Licenziata la dipendente che effettua attività incompatibili con lo stato di malattia
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Licenziata la dipendente che effettua attività incompatibili con lo stato di malattia

Tribunale Civile di Roma Sezione Lavoro, decreto di rigetto del 7.10.2020

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

La pronuncia in commento affronta il caso di una lavoratrice licenziata per giusta causa, sulla scorta dell’effettuazione di attività incompatibili con il dichiarato stato di malattia.
In particolare, la Casa di Cura aveva risolto il contratto con la dipendente, con la qualifica di infermiere, all’esito di numerose contestazioni e dei relativi provvedimenti, anche sospensivi, nonché di un ultimo grave evento che aveva visto la propria dipendente, asseritamente in malattia all’estero, prendere parte ad una prova orale di un concorso pubblico, nonché comunicare tardivamente il cambio di indirizzo di reperibilità, tra l’altro, dopo essere stata sorpresa presso la sede di esame direttamente dal responsabile del personale della Clinica.
La lavoratrice, con ricorso depositato presso il Tribunale di Roma, istava per la declaratoria dell’illegittimità del provvedimento risolutivo poiché, a suo dire, nullo e comunque illegittimo e/o inefficace per l’insussistenza del fatto materiale contestato e comunque del tutto sproporzionato.
Si costituiva la Casa di Cura evidenziando come la condotta tenuta dalla lavoratrice risultasse idonea a ledere, in modo tanto grave da farla venir meno, la fiducia dell’azienda nella dipendente e tale, quindi, da esigere sanzioni non minori di quella massima, definitivamente espulsiva.
Il Tribunale di Roma, richiamando un solido orientamento della Suprema Corte, ha evidenziato che “rispetto a "fatti materialiche devono ritenersi documentalmente provati, e che, come nel caso dello svolgimento di attività incompatibile con lo stato di malattia e della comunicazione tardiva del cambio di indirizzo di reperibilità, attestano una condotta del dipendente di per sé contraria agli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, è appunto a carico del lavoratore l’onere di dimostrare con idonee allegazioni e istanze istruttorie la c.d. “causa non imputabile”, ovvero la causa di giustificazione che, ai sensi dell'art. 2118 c.c, può escluderne la responsabilità (v., per una riaffermazione di tali principi, Cass. n. 21079 del 7 ottobre del 2014 che richiama, tra le altre, Cass. n. 2988/2011)”.
In altre parole, il Giudice ha ricordato che, una volta appurata la sussistenza dei fatti contestati ad un lavoratore, è onere dello stesso addurre elementi idonei ad escluderne le responsabilità, attività che, nel caso di specie, non era stata svolta dalla dipendente.
Quanto alla pretesa sproporzione tra il licenziamento irrogato e la condotta tenuta dalla lavoratrice, il Giudice ha rilevato l’inesistenza di alcuna previsione del CCNL Aiop a cui ricondurre le infrazioni commesse. Di contro, nel provvedimento si legge espressamente che “è vero invece che in presenza della recidiva “in qualunque mancanza quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno dall’applicazione della prima sanzione”[lett. C art. 41], questo prevede espressamente la sanzione del licenziamento. Da quanto ampiamente già esposto, emerge infatti che alla ricorrente sono state contestate infrazioni dei propri obblighi di diligenza e di fedeltà che, nel loro complesso e non solo singolarmente, hanno leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario”.
Alla stregua di quanto sopra, il Tribunale di Roma, ha ritenuto di applicare il principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (per tutte: Cass. n. 17514/2018 e Cass. n. 6047/2018), secondo cui è da ritenersi legittimo il licenziamento per giusta causa in caso di svolgimento di attività incompatibili con la malattia che siano sintomatiche della sua simulazione o che possano ritardare o addirittura pregiudicare la guarigione: “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”. (cfr., tra le altre, Cass. 19.10.2018 n. 26496, Cass. 27.4.2017 n. 1041).
In conclusione, il Giudice di merito, nel rigettare il ricorso, ha evidenziato come l’assenza per malattia della dipendente fosse gravata di due ordini di patologie: da un lato poteva essere considerata inesistente e valutata in frode al datore di lavoro, oppure le attività espletate in costanza di malattia potevano ritenersi incompatibili poiché idonee a ritardare la guarigione, con il risultato di giustificare, in entrambi i casi, il recesso del datore di lavoro, in quanto “davvero impossibile pensare che, in presenza di una simile reiterata condotta illegittima, il datore di lavoro possa confidare sulla futura e corretta esecuzione delle prestazioni della ricorrente”.
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