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Notizie dalla Liguria

Professioni sanitarie. Firmato il decreto attuativo che istituisce i nuovi albi

Decreto attuativo della legge n. 3 del 2018

È stato firmato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin il primo decreto attuativo della legge n. 3 del 2018, meglio conosciuta come la legge che ha riformato il sistema ordinistico delle professioni sanitarie in Italia. Si tratta del decreto che istituisce gli albi delle 17 professioni sanitarie, fino ad oggi regolamentate e non ordinate, che entreranno a far parte dell’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Dalla privacy alla cybersecurity, le strutture cercano nuove figure

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana

AAA cercasi ortopedici, anestesisti, geriatri e fisiatri. Ma anche figure nuove per la sanità italiana, in grado di tutelare la privacy e i dati sanitari dei pazienti, o difendere le strutture dai cyberattacchi informatici. La sanità sta cambiando volto, anche quella privata. "Con l'espansione del settore delle cure per gli anziani, negli ospedali e nelle Rsa queste figure tradizionali sono molto richieste. Ma accanto a loro vediamo anche emergere la domanda di professionalità nuove, con competenze trasversali". Parola del direttore generale di Aiop, Filippo Leonardi, che con l'Adnkronos Salute fa il punto sulle professioni più gettonate dalle aziende e dai gruppi del settore nel nostro Paese.
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Notizie Aiop Nazionale

Illegittimo il licenziamento del lavoratore che si oppone al trasferimento
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Illegittimo il licenziamento del lavoratore che si oppone al trasferimento

Corte di Cassazione Sezione Lavoro ordinanza n. 29054 del 5 dicembre

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

L’ordinanza oggi commentata affronta il caso di un lavoratore licenziato con una doppia motivazione, ovvero per l’inadempimento conseguente ad una assenza dal posto di lavoro e per giustificato motivo oggettivo conseguente ad una dedotta organizzazione aziendale. I giudici di secondo grado avevano ritenuto privo di fondamento il giustificato motivo soggettivo, atteso che il lavoratore aveva "reagito" ad un comportamento illegittimo del datore di lavoro rappresentato dal trasferimento da Pomezia a Milano, in assenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. Altresì, con riferimento al giustificato motivo oggettivo, gli stessi giudici avevano rilevato la non effettività dell’asserita soppressione del posto di lavoro del dipendente.
Avverso tale sentenza, il datore di lavoro proponeva ricorso per Cassazione, rilevando come i Giudici di merito avessero omesso di accertare l’importanza del preteso inadempimento del datore di lavoro, tale da rendere legittimo il rifiuto all’adempimento della prestazione lavorativa opposto dal lavoratore che non si era presentato presso la sede nella quale era stato trasferito. I giudici di legittimità avevano ritenuto infondata tale censura, atteso che il mutamento della sede lavorativa doveva essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali era configurabile una condotta datoriale illecita, che giustificava la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producevano effetti (Cass. n. 11927 del 2013; Cass. n. 27844 del 2009; Cass. n. 26920 del 2008; Cass. n. 16907 del 2006; Cass. n. 4771 del 2004; Cass. n. 18209 del 2002; Cass. n. 1074 del 1999).
Aggiungevano altresì gli Ermellini che, in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., e dunque al cospetto di un inadempimento datoriale oggettivamente gravido di conseguenze negative per il lavoratore, quale il trasferimento illegittimo dello stesso ad una sede di lavoro così lontana da quella originaria, fosse del tutto legittima e proporzionata la reazione del dipendente che, pur rifiutando di prestare la propria attività lavorativa presso la sede di destinazione, avesse comunque messo a disposizione le proprie energie lavorative presso la legittima sede di lavoro.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava parte ricorrente al pagamento delle spese.
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