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Notizie dalla Liguria

Storica apertura di Confindustria alla filiera della salute

Presentato il Rapporto annuale sulla filiera della salute

La “white economy” è ormai un potente driver dell’economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell’occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l’Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. É questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato mercoledì mattina a Roma, e realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa, tra cui Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme.

Via Irpef nelle Regioni risanate e Titolo V da modificare

«Le Regioni uscite dal Piano di rientro e che hanno raggiunto il pareggio di bilancio, non hanno più nessuna ragione di mantenere una super aliquota Irpef che era stata pensata per coprire il deficit nella sanità e che pesa tantissimo sui cittadini».
Questa è la posizione del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta alla trasmissione radiofonica Radio anch' io su Radio Rai 1.
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Notizie Aiop Nazionale

La presunta malattia infortunio e l’onere della prova
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La presunta malattia infortunio e l’onere della prova

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro: Ordinanza 10331 del 12.04.2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

La Cassazione, con la pronuncia in commento, ritorna sul tema della salute e della sicurezza sul lavoro e, in particolare, si concentra sulla vexata questio dell’onere della prova in materia di infortuni. Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, una dipendente di una Struttura Sanitaria era incorsa in una presunta malattia - infortunio (Epatite), consistente in un processo morboso conseguente alla penetrazione nell'organismo di germi patogeni. La caratteristica principale di questo tipo di patologie è che, dal punto di vista assicurativo, esse vengono giuridicamente qualificate come infortuni sul lavoro in quanto la causa virulenta viene assimilata alla causa violenta. Tuttavia, al fine di ottenere la qualifica di infortunio, e quindi la copertura assicurativa, risulta necessario provare che il contagio sia avvenuto in occasione del servizio svolto. Com’è facilmente desumibile tale operazione non risulta mai agevole, in particolare nel caso di malattie plurifattoriali come l’Epatite, la cui trasmissione può avvenire attraverso il sangue o tramite lo scambio di fluidi corporei e, pertanto, tanto con un’accidentale puntura, quanto con l’uso promiscuo di rasoi o spazzolini infetti, o anche durante contatti sessuali. Alla luce di quanto sopra, l’INAL, in quanto ente proposto alla qualificazione dell’evento lesivo come infortunio sul lavoro, suggerisce un approccio probabilistico. Ed invero, l’Ente ritiene che, ove l'episodio che ha determinato il contagio non sia stato percepito o non possa essere provato dal lavoratore, il nesso di causalità si possa presumere in ragione delle mansioni svolte e di ogni altro indizio che deponga in tal senso. In altre parole, secondo l’INAL, sarebbe da qualificare come malattia - infortunio ogni patologia contratta da un lavoratore, le cui mansioni siano potenzialmente idonee a determinare il contagio. Con l’ordinanza in commento, la Cassazione ha modificato radicalmente tale visione dell’Ente, poiché eccessivamente gravosa per le Aziende, le quali, nell’interpretazione offerta, al fine di negare che l’evento lesivo sia occorso sul luogo di lavoro, dovrebbero adempiere alla cd. probatio diabolica, ovvero dimostrare che nel lungo e variabile periodo di incubazione della patologia il lavoratore non sia stato esposto ad alcun fattore astrattamente idoneo al contagio. Ed infatti, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio già enunciato nella Sentenza n. 12364/2014, ritenendo che “la malattia professionale in questione (epatite cronica anti Hcv positiva) è ad eziologia plurifattoriale, sicché la prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell'ambiente di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità”. In altre parole la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso della lavoratrice, ha confermato il percorso logico seguito dalla Corte d’Appello di Catanzaro e ritenuto che, in caso di presunte malattie - infortuni, l’onere della prova ricada sul lavoratore, il quale è tenuto a dimostrare con un buon grado di certezza, che il contagio sia avvenuto sul luogo di lavoro, non risultando sufficiente la potenziale esposizione ad organismi patogeni.
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