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Legittimo il licenziamento del dipendente che svolge altra attività durante il congedo parentale
Cass. Sez. Lav. n. 2618 del 4 febbraio 2025.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale
La recentissima pronuncia in commento affronta il caso di un dipendente licenziato dall’azienda per avere, durante il congedo parentale, svolto un'altra attività lavorativa remunerata, non saltuaria né episodica, svolta presso un concessionario di autovetture gestito da una società della quale era egli stesso amministratore. Tali informazioni venivano acquisite tramite agenzia investigativa.
Il lavoratore ricorreva dapprima in tribunale e poi in appello, ove veniva confermata la legittimità del provvedimento risolutivo, configurandosi la condotta del dipendente quale abuso del diritto al congedo parentale per sviamento della relativa funzione, circostanza che giustificava la sanzione espulsiva venendo meno in rilievo un comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede. Il lavoratore ricorreva quindi per Cassazione, sostenendo l'irregolarità delle investigazioni svolte ed assumendo che la parte datoriale, onerata, non avesse offerto dimostrazione dello svolgimento da parte del predetto di attività lavorativa nell'intero periodo di congedo parentale posto che la relazione investigativa aveva riguardato solo quattro giorni rispetto all'intero periodo di fruizione del beneficio, di durata molto maggiore, sostenendo infine che la condotta addebitata fosse riconducibile a fattispecie punite con sanzione conservativa.
La Corte, affrontando puntualmente i motivi di gravame, dopo aver rilevato la piena legittimità delle investigazioni operate dal datore di lavoro, poiché confermate dal collaboratore dell’agenzia, escusso quale teste, ha ritenuto dimostrato il fatto ascritto, rilevando che “se è vero che la relazione investigativa aveva avuto ad oggetto solo quattro giornate rispetto all’intero periodo, molto più protratto, di fruizione del congedo parentale, è altresì vero che la Corte di merito è pervenuta all’accertamento contestato sulla base di un ragionamento presuntivo tratto da una serie di elementi convergenti nel senso del carattere sistematico e continuativo dell’attività di lavoro espletata dal Mu.Gi.”.
Ciò detto, la Corte ha ritenuto che “La condotta accertata, oltre a costituire grave violazione del dovere di fedeltà gravante ex art. 2105 c.c. sul lavoratore, si connota per il suo particolare disvalore sociale alla luce delle specifiche finalità in relazione alle quali è modulato l'istituto del congedo parentale ed ai sacrifici e costi organizzativi che impone alla parte datoriale a fronte dell'esercizio di tale diritto potestativo da parte del titolare. Il congedo parentale disciplinato dall'art. 32 D.Lgs. n. 151/2001 si pone, infatti, l'obiettivo di assicurare il diritto del figlio di godere dell'assistenza materiale ed affettiva di entrambi i genitori nei primi anni di vita. Si tratta di un diritto potestativo rispetto al quale la posizione del datore di lavoro è di mera soggezione nel senso che a quest'ultimo non è consentito di rifiutare unilateralmente la fruizione del congedo e neppure di dilazionarla; come evidenziato da alcuni interpreti, l'art. 32 cit. non attribuisce alcuna rilevanza giuridica alle esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro. Ed è proprio la compressione della iniziativa datoriale lato sensu intesa ed il sacrificio imposto alla collettività in relazione ai costi sociali ed economici connessi alla fruizione del congedo parentale a giustificare una valutazione particolarmente rigorosa, sotto il profilo disciplinare, della condotta del lavoratore che si sia sostanziata nello sviamento dalle finalità proprie dell'istituto ed in un utilizzazione strumentale dello stesso per la realizzazione di finalità ad esso del tutto estranee. Né la condotta del lavoratore può ritenersi "scriminata " dalla considerazione che comunque l'attività professionale svolta non impediva al Mu.Gi. la cura e l'assistenza del minore, posto che tale affermata compatibilità doveva allora ritenersi sussistente anche in relazione all'attività svolta per AN. Spa in tal modo venendo meno in radice la ragione giustificativa dell'istituto”.
Per tali motivi dunque la Corte di Cassazione rigettava il ricorso confermando ancora una volta la piena legittimità dell’operata risoluzione.