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Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è obbligatoria la ricollocazione in mansioni inferiori non compatibili con il profilo del dipendente
Cass. Sez. Lav. ordinanza n. 1364 del 20 gennaio 2025.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale
La recente ordinanza in commento affronta il caso di un licenziamento per giustificato motivo oggetto di un dipendente irrogatogli per soppressione del posto di lavoro a cui era adibito. La Corte d’Appello di L’Aquila rigettava l’impugnativa del lavoratore, ritenendo provato l’assolvimento dell’obbligo di repechage da parte della società, a fronte di una valutazione effettuata su posizioni disponibili simili a quella del ricorrente.
La Corte di Cassazione, a fronte del ricorso dell’ex dipendente, secondo cui, tra l’altro, la Corte d’Appello avrebbe errato nel non considerare che “l’obbligo di repechage non si limitava ai ruoli identici a quelli occupati dal dipendente e che il datore di lavoro avrebbe dovuto estendere la valutazione anche a posizioni diverse, ma compatibili con la professionalità acquista dal lavoratore“, ha confermato la pronuncia di secondo grado, stabilendo un principio che incide profondamente sulla tutela dei lavoratori nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ed infatti, secondo la sentenza, il datore di lavoro non ha l'obbligo di estendere la ricerca di posizioni alternative al di fuori di quelle strettamente compatibili con la professionalità del dipendente.
In particolare, la Cassazione ha rilevato che, in ipotesi di licenziamento per GMO, il datore non è tenuto a creare nuove posizioni o a modificare l'organizzazione aziendale per conservare il posto al lavoratore, dovendo il datore di lavoro, secondo i Giudici di legittimità, dimostrare solo l'assenza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente licenziato. Secondo la pronuncia, una volta emersa la prova della soppressione del posto, il giudice non può imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro anche inferiore, poiché si sostituirebbe all'imprenditore nel compito di organizzazione aziendale che a lui compete. In particolare, la Corte “ha chiarito da tempo (Cass. 23301/2018) che il datore di lavoro non è tenuto a creare nuove posizioni o a modificare l’organizzazione aziendale per conservare il posto al lavoratore, ma deve dimostrare solo l’assenza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente, non potendo il giudice, una volta emersa la prova della soppressione del posto, imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro anche inferiore, poiché si sostituirebbe all’imprenditore nel compito di organizzazione aziendale che a lui compete”.
Ciò ancor più se tutte le posizioni nelle aree compatibili con le competenze del lavoratore da licenziare erano occupate al momento del licenziamento e successivamente non erano state effettuate nuove assunzioni nella stessa qualifica.
Per tali motivi, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la legittimità dell’impugnato recesso anche con riferimento all’assolvimento dell’obbligo di repechage, riducendo drasticamente le possibilità di essere ricollocati all'interno dell'azienda dopo un licenziamento per ragioni economiche.