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Licenziabile il superiore gerarchico per gravi condotte dei sottoposti
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Licenziabile il superiore gerarchico per gravi condotte dei sottoposti

Suprema Corte di Cassazione Sentenza n. 15168 del 4 giugno 2019

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

La sentenza in commento prende le mosse dal licenziamento di un quadro, il quale, omettendo di vigilare sull'operato di un proprio sottoposto, aveva in qualche modo consentito allo stesso di operare frodi per un importo complessivo di quasi un milione di euro.
Sia il Giudice di prime cure, che la Corte di Appello Bologna accoglievano l’impugnativa del lavoratore, e disponevano per la reitegra del dipendente, ritenendo il licenziamento illegittimo poiché le omissioni contestate al lavoratore non potevano essere ricondotte a precise direttive o compiti di controllo esplicitamente affidati al responsabile.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la Società, lamentando dei palesi vizi nelle sentenze di entrambi i Giudici di merito. Il Giudice delle leggi affronta anzitutto il tema della diligenza richiesta al prestatore di lavoro, censurando le decisioni rese in primo e secondo grado per non avere anzitutto valutato correttamente il grado di diligenza richiesto ad un quadro direttivo.
Ed infatti, precisa la Corte che la diligenza richiesta dal codice civile al prestatore di lavoro si articola su due livelli, di cui solo il secondo ha a che fare con la cosiddetta “diligenza specifica” e, cioè, con quella afferente all'osservanza da parte del dipendente delle disposizioni esplicitamente impartite dal datore di lavoro.
Tuttavia, prosegue la Corte, il criterio prioritario di diligenza - trascurato in sede di merito- è quello della “diligenza professionale generica” che, indipendentemente da qualsivoglia direttiva datoriale, attiene alla natura intrinseca della prestazione lavorativa e al perseguimento dell'interesse dell'impresa. D'altre parte, nel caso del dipendente in posizione di responsabile è proprio il parametro della diligenza generica a stabilire in capo al dipendente un dovere di controllo, correzione e prevenzione di anomalie operative.
Nel confermare, dunque, che il licenziamento per giusta causa sia legittimo solo laddove vi sia da parte del dipendente un notevole inadempimento dei propri obblighi contrattuali, la Cassazione precisa tuttavia come sia erroneo valutare l'entità di tali obblighi alla sola luce delle direttive impartite in modo esplicito dal datore di lavoro: l'esame circa la capacità di una condotta, anche omissiva, di ledere in modo permanente il vincolo fiduciario necessario alla prosecuzione del rapporto di lavoro deve necessariamente investire tutte le circostanze del rapporto, che il giudice è tenuto a valutare in una prospettiva unitaria la quale prescinda dal solo esame delle regole o prassi vigenti all'interno della singola impresa.
In particolare, attesa la delicatezza delle funzioni proprie del responsabile, rapportate anche all'entità della condotta fraudolenta messa in atto da un dipendente di livello inferiore grazie alla “distrazione” dello stesso, non pare lasciare spazio a dubbi: il disvalore dell'omissione di un impiegato chiave, il cui ruolo intrinseco non può non avere a che fare con mansioni di vigilanza e controllo, è di tale gravità da potere essere sufficiente a ledere, in modo permanente, il vincolo fiduciario.
Dunque, la Suprema Corte, nel negare la reintegra al dipendente, rinviava al Giudice di mertito che, nel riesaminare la questione, dovrà tenere fermo sulla bilancia il peso specifico della diligenza richiesta ai quadri in quanto tali e, cioè, indipendentemente da qualsivoglia regolamento interno o disposizione datoriale: a funzioni di tale rilievo non può non associarsi un obbligo di azione costante e intransigente a tutela degli interessi dell'impresa.
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