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Notizie dalla Liguria

CCNL. Cittadini: “Bene l'apertura Ministro, sia così tempestivo anche per chi opera nelle strutture private”

Dichiarazioni pubblicate su Quotidiano Sanità lo scorso 23 novembre 2018

"L’apertura del Ministro Giulia Grillo alle richieste dei sindacati dei medici che operano nella componente di diritto pubblico del SSN, è un’ottima notizia. Chiediamo che possa essere attivato, con la stessa tempestività, un confronto anche con la componente del SSN di diritto privato, nella quale lavorano 12mila medici, 26mila infermieri e tecnici e oltre 32mila operatori socio-sanitari, che ogni giorno consentono di dare una risposta alla domanda di salute degli italiani, contribuendo, in modo determinante, all’offerta sanitaria del Paese”, lo dichiara Barbara Cittadini, Presidente Nazionale AIOP, a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro della Salute.

Gdpr. Valutazione di impatto per i trattamenti transfrontalieri

Il Garante individua le operazioni a rischio

D’ora in poi, pubbliche amministrazioni e aziende italiane che effettuano trattamenti di dati volti ad offrire beni e servizi anche a persone residenti in altri Paesi dell’Unione europea avranno uno strumento in più per applicare correttamente il nuovo Regolamento sulla protezione dei dati. Il Garante per la privacy ha predisposto, come stabilito per le Autorità di controllo nazionali dal Gdpr, un elenco delle tipologie di trattamento che i soggetti pubblici e privati dovranno sottoporre a valutazione di impatto. L’elenco recepisce le osservazioni del Comitato europeo per la protezione dei dati al quale era stato sottoposto dal Garante per il prescritto parere.
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Notizie Aiop Nazionale

Legittimo il licenziamento del dipendente che insulti ed offenda sui social anche fuori dall’ambito lavorativo
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Legittimo il licenziamento del dipendente che insulti ed offenda sui social anche fuori dall’ambito lavorativo

Cass. Sez. Lav. n. 6543 del 21 febbraio 2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

La pronuncia in commento affronta il caso di un dipendente che aveva pubblicato su Facebook commenti offensivi in merito alla decisione di alcuni Stati americani di limitare il diritto all’aborto.

L’azienda lo aveva licenziato per giusta causa, contestando l’inopportunità delle sue espressioni e il fatto che queste potessero danneggiare l’immagine aziendale poiché divulgate in uno spazio aperto di un profilo social. Per legittimare il licenziamento il datore di lavoro aveva aggiunto che era risultato che il dipendente in questione avesse fra i contatti personali del profilo anche diversi colleghi di altri reparti della società. A questo si aggiunga che la società, nel corso dell’istruttoria, aveva provato la presenza di una Social media policy che l’azienda aveva adottato e con cui si regolamentava la condotta che i dipendenti dovevano tenere all’interno dei propri profili social personali.

Impugnava il licenziamento il lavoratore, contestando l’estraneità all’ambito lavorativo dei fatti addebitati durante il procedimento disciplinare, poiché il post che riportava il commento alle risposte dei partecipanti alla pagina del profilo social non faceva espressa menzione del nome della società, trattandosi, piuttosto, dell’esercizio del diritto di espressione e di libertà di opinione. Si conveniva che il linguaggio doveva essere più equilibrato, ma questo non era, secondo la difesa del lavoratore, sufficiente per adottare un licenziamento con effetto immediato.

La Corte di Cassazione, disattendendo le difese del lavoratore e ritenendo la portata di un mezzo social sicuramente più immediata e forte nell’impatto divulgativo rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali,  ha statuito la liceità del potere del datore di lavoro di contestare, laddove necessario, l’utilizzo improprio di quelle espressioni usate dal proprio dipendente per commentare le risposte ricevute sulla propria pagina personale social; tutto questo indipendentemente dal fatto che il comportamento del dipendente in questione riguardasse o meno l’ambito lavorativo. Ciò in quanto l’immagine aziendale, a parere della Corte, rappresenta un bene immateriale dell’impresa e come tale deve essere tutelato dal titolare della stessa, posto che la reputazione aziendale assume un valore economico fondamentale per l’impresa, in quanto correlata alle sue performance produttive.

Nel caso specifico, si era configurata dunque una lesione immediata all’immagine aziendale poiché il contenuto del messaggio pubblicato era stato ritenuto inappropriato dalla collettività dei social. Ed infatti, sebbene il testo del messaggio non riportasse il nome o alcun riferimento diretto dell’azienda, tuttavia, da una indagine, si era poi riscontrato che nel profilo del dipendente in questione appariva la posizione lavorativa e il ruolo del dipendente all’interno dell’azienda. Da qui il riferimento indiretto all’immagine aziendale.

Per i giudici di legittimità, dunque, il potere tradizionale di controllo datoriale ricopre anche la tutela dell’immagine della società stessa, che, quando violata, rappresenta una giusta causa di licenziamento.

 

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